IL PRIDE CHE VORREI (di Alex Vön Punk)
Nell’anno domini 2023, ancora vediamo scendere per strada il carnevale del Pride, con le sue richieste illusorie.
Il prodromo fu una vera e propria rivolta, che si svolse a New York, ed è noto come Moti di Stonewall. Era la notte fra il 27 e il 28 giugno 1969, quando la polizia fece irruzione allo Stonewall Inn, un locale del Greenwich Village, noto per essere uno dei punti di ritrovo della comunità omosessuale della città. Anche in una metropoli simile erano tempi difficili per le persone non eterosessuali. Tra gli anni ’50 e ’60, infatti, l’omosessualità era illegale in 49 stati americani. All’epoca, vi furono scontri con la polizia.
Si può quindi affermare che fu una rivolta contro l’autorità spinta da un anelito libertario, perfettamente legittima, che criticava il bigottismo dell’epoca, la repressione da parte dello Stato. Da quel momento, le persone omosessuali iniziarono finalmente ad uscire dall’ombra imposta dalla società che le voleva ai margini. La comunità si strinse in un movimento di protesta che portò alla formazione di iniziative, come il Gay Liberation Front.
Ciò che stupisce è che si sia nel tempo assistito a un cambio di paradigma. Oggi, anziché chiedere libertà, questa stessa comunità domanda protezione a quello Stato Etico che l’ha sempre osteggiata. La stessa logica della richiesta di matrimonio li configura come una forza reazionaria e conservatrice che, anziché cercare di scardinare quella gabbia che il vincolo in questione costituisce, come la definiva Emma Goldman, promuove un suo rafforzamento ponendolo al centro delle proprie istanze.
Verrebbe da pensare che le varie comunità non siano altro che un sistema, una burocratizzazione di un movimento senza il quale alcuni personaggi di spicco della comunità LGBTQ+ dovrebbero trovarsi un lavoro, anziché campare sulle spalle dei propri attivisti.
La stessa rivendicazione della gestazione per altri rimane all’interno di un modello pre-configurato dalla società, un retaggio arcaico di un tempo che fu, l’idea che sia necessario avere un figlio. Certo è legittima la volontà di voler mettere al mondo un bambino, quello che però che va sottolineato è come da parte loro si voglia ottenere un’assimilazione ai canoni imposti dall’esterno.
Oggi la comunità omosessuale è perfettamente integrata, la ritroviamo nei talk show, nei film, nelle serie tv. È socialmente accettata, fortunatamente, a differenza di Paesi che reprimono la libertà di amare, pensiamo all’Iran, alla Corea del Nord – nel primo, vige addirittura la pena capitale.
Verrebbe da chiedersi se i pride che vediamo sfilare, senza alcun motivo, non siano una scimmiottatura di quelli di quando ancora vigeva la repressione e si rischiava la vita per la libertà di poter essere sé stessi. Sorge il dubbio che chi si lamenta dell’Occidente non abbia idea di cosa significhi realmente l’oppressione e che dovrebbe passare meno tempo a lagnarsi e un po’ di più ad analizzare le dinamiche odierne. Dubbi che presumibilmente non troveranno risposta, ma credo si possa affermare che il Pride è soltanto un carnevale, una festa per rivendicare un bel niente, e poco conta la condizione oggettiva, poco conta la possibilità di auto-realizzarsi di cui oggi godiamo. Quello che importa non è più il movimento che si protrae verso un futuro di possibilità da conquistare, ma il fatto che questo sia divenuto un fine in sé, e ciò è ben dimostrato dall’intolleranza che esso via via adotta nei confronti di chi dissente.
Alex Vön Punk
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L’AUTORE
Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelance, agitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Libertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del Reddito di Base Universale.