LA VERITÀ SUL PENSIERO DI T.J. KACZYNSKI, UN AMERICANO (di Matteo Fais)
“L’uomo di sinistra, infatti, è anti-individualista e filo-collettivista. Egli pretende che la società risolva i problemi di ognuno in sua vece, soddisfi i bisogni di tutti e si prenda cura di ciascuno, indipendentemente dalle sue azioni. Non è il tipo di persona che, dotata di un’innata confidenza nelle proprie abilità, risolve in autonomia i propri problemi e soddisfa i propri bisogni. L’uomo di sinistra è ostile al concetto stesso di competizione perché, nel profondo del suo animo, egli sa di essere un perdente” (Theodore John Kaczynski, La società industriale e il suo futuro – Il manifesto di Unabomber, Passaggio dl Bosco).
Che la società industriale abbia rappresentato un disastro per la razza umana è, palesemente, poco più di una sparata a effetto. La tecnologia, verso cui il compianto Theodore John Kaczynski nutrì tutti questi oscuri timori, è stata nella sua visione quasi un fantasma metafisico, una forza demoniaca che abita il mondo e lo pervade con una vita propria, slegata dalla volontà umana. Insomma, la sua analisi sfiora la paranoia.
In verità la tecnologia, per quanto detenuta da poteri estranei e incontrollabili dalle masse, come ogni strumento, può divenire arma detonante nelle mani di una popolazione consapevole. Attraverso questa, il malessere può coagularsi, trovarsi, serrare i ranghi – come in effetti, pur tra mille frammentazioni, già avviene. TJK, in tal senso, non aveva ragionato sulla questione, ma semplicemente piegato la sua razionalità a un’idiosincrasia personale. Proprio per questo, i suoi tentativi di attacco si sono risolti in inutile violenza, diversamente da ciò che descrive Houllebecq nel suo Annientare, dando vita sulla pagina a un gruppo di terroristi ispirati alla lezione dell’americano, i quali si muovono appunto molto più su base tecnologica che pratica (nel senso più rudimentale del termine).
A maggior ragione anche l’esaltazione della wilderness, da parte dell’autore, si riduce all’ammissione di un mero gusto personale, come quello di chi preferisce la campagna alla città. Ma pensare seriamente che, solo nella natura incontaminata e nel confronto con questa, l’uomo trovi piena realizzazione è una stupidagine. Le famose attività sostitutive con cui abbiamo rimpiazzato i presunti obiettivi reali – cioè la sussistenza bruta – sono ciò di cui è fatto l’uomo, un essere basato sul superfluo, nel senso di ciò che va oltre la mera vita. Casomai, si potrebbe discutere rispetto alla necessità di un equilibrio tra le due, ma cancellare la ricerca scientifica, come l’attività artistica, in ragione del fatto che coloro che le praticano “non si sentono mai soddisfatti, mai a loro agio”, significa non voler fare i conti con la più intima natura umana, cioè il perenne senso di delusione che da sempre ci spinge oltre.
Purtroppo, c’è in TJK un errore di fondo che vanifica ogni suo progetto, come del resto quello della maggior parte dei rivoluzionari, o dei presunti educatori: voler cambiare una società che, evidentemente, non desidera di essere mutata. “Chiunque abbia due soldi può stampare qualcosa, o magari distribuirlo su Internet o altrove […] Impressionare la società a parole è perciò pressoché impossibile per la maggior parte degli individui e dei piccoli gruppi. […] Affinché il nostro messaggio arrivasse al pubblico con qualche speranza di avere su di esso un effetto duraturo, abbiamo dovuto ricorrere all’omicidio”, scrive lui.
La risposta più semplice che gli si potrebbe dare è la stessa che potrebbe essere avanzata a un qualunque professorino che lamenti lo scarso interesse dei suoi allievi verso un qualsivoglia argomento: se devi ricorrere al terrore del brutto voto, della nota sul registro, il tuo lavoro è già di per sé vanificato. Non puoi far amare la lirica di Cardarelli con il terrore, puoi solo spingere gli allievi a far finta di apprezzarla. In sintesi, se la gente non aderisce volontariamente alle idee di una persona, non resta che dichiararsi sconfitti.
Al netto di ciò, restano comunque diversi punti di La società industriale e il suo futuro, oltre che nelle altre opere, di profondissima pregnanza critica, come l’analisi della Sinistra. A tal proposito è appena il caso di precisare che risulta ridicolo qualsiasi tentativo, di qualsivoglia declinazione di quella parte politica, nel volerlo tirare dalla propria sponda. TJK odiava i comunisti e, come scritto nel suo diario, avrebbe desiderato di ucciderli, oltre ad aver sempre appoggiato la guerra in Vietnam per tenere a bada gli oppositori dell’America. Ancora di più, detestava quella fazione, che oggi si definisce woke, o progressista, politicamente corretta e attivista di tutte le cause più idiote. E, poco ma sicuro, K. osteggiava ogni forma di controllo societario, quindi a tutto avrebbe potuto essere vicino, fuorché alla vecchia URSS – la quale, peraltro, era fondata sul sistema industriale a lui non esattamente congeniale. In buona sostanza, Ted condivideva più o meno apertamente il moto tipicamente americano better dead than red (“meglio morto che rosso”).
Vale la pena, a tal proposito, di riportare il seguente passo: “La sinistra tende a odiare tutto ciò che riflette un’immagine di forza, benessere, successo. Odiano l’America, odiano la civiltà occidentale, odiano i maschi bianchi e la razionalità. Le ragioni con cui spiegano il loro astio nei confronti dell’Occidente e di tutto il resto, di tutta evidenza non corrispondono alle loro autentiche motivazioni. Dicono di odiare l’Occidente perché guerrafondaio, imperialista, sessista, etnocentrico, ma laddove queste medesime pecche si manifestano nei Paesi socialisti o nelle culture primitive, ecco l’uomo di sinistra dannarsi per trovare mille giustificazioni, o – al limite – ammettere a denti stretti la loro esistenza; al contempo, egli non esita a sottolineare entusiasticamente – e spesso esagerando – ognuna di tali ataviche colpe nell’alveo della civiltà occidentale. È perciò evidente che in nulla di ciò ricade il vero motivo del suo odio per l’America e l’Occidente: egli odia l’America e l’Occidente per la loro forza ed il loro successo”.
Il punto di forza nell’analisi del pensatore a stelle e a strisce, quindi, si situa nel tentativo di fornire uno strumento di analisi definitiva del fenomeno sinistro. Ciò che c’è da capire è, in conclusione, che ogni uomo di tale tendenza, sia esso un progressista o un collettivista, non va considerato sul piano ideologico – ciò vorrebbe dire riconoscergli il rango di avversario, sul piano intellettuale – ma psichiatrico. Egli è affetto da “complessi di inferiorità” – giustamente, essendo uno scarto umano – e “sovrasocializzazione” – la tendenza a “pensare ed agire conformemente alle norme della società”, come fanno sia i progressisti in occidente che i sudditi dei Paesi rossi.
L’uomo di Sinistra è un debole, un eunuco, un passivo-aggressivo, uno che “preferisce attribuire alla società il merito o la colpa per l’abilità o l’inettitudine di un individuo; pertanto, se una persona è ‘inferiore’, la colpa non è sua, ma della società che non è stata in grado di allevarla adeguatamente”.
E, meglio ribadirlo, tale analisi potrebbe essere infine estesa a qualunque socialista in generale, a tutti gli amanti di un ordine statale forte, infatti nel “collettivismo di sinistra” – cioè in ogni Paese comunista – “il singolo si sente forte solo in quanto membro di una grande organizzazione o di un movimento di massa in cui si identifica”. Palesemente, seppur non in senso thatcheriano, K. non crede nell’esistenza della società – casomai, della piccola comunità –, ma solo degli individui.
Dunque, addio, caro amico. La tua lezione fondamentale resta: la libertà personale è tutto.
P.S: tutti i passi riportati in traduzione provengono dall’edizione del Manifesto tradotta da Attilio Sodi Russotto per Passaggio al Bosco.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.