CARA MURGIA, PERCHÉ HAI LA NECESSITÀ DI VEDERE ACCETTATA LA TUA “FAMIGLIA”? (di Matteo Fais)
Se fossi un omosessuale, non vorrei mai ricevere l’approvazione etero di tutte le persone che risultano essere, agli occhi degli altri, normali. Intendo, ovviamente, quelli che aderiscono al modello classico di una moglie che tradisce il consorte con il commercialista, un marito che va a troie, due bambini, un maschio e una femmina, che odiano, a metà tra il conscio e l’inconscio, i genitori, un cane menomato, un gatto cieco, e un pesce rosso che si uccide, perché odia le convenzioni, sbattendo la capoccia contro la sua palla di vetro.
Se fossi un omosessuale, non vorrei quello che Gabriel Matzneff chiama beffardo “il sorriso compiacente della portinaia”. Preferirei essere il finocchio, il piglia in culo, il depravato, il ciuccia cazzi, quello additato dal bravo padre di famiglia che rassicura i suoi figlioli, dicendo loro che non saranno mai come lo schifoso del loro vicino.
Del resto, pure dal versante etero, che gusto c’è ad andare con una donna più grande, se non sentire su di sé il giudizio implacabile delle persone che rientrano nella norma e non hanno bisogno di soddisfare, in forma simbolica, l’edipica unione con la propria madre? E con quella più giovane? Vorresti forse negarti lo scellerato sollazzo di citarle il Vangelo dei pervertiti, il Lolita di Nabokov, con il Professor Humbert che dice “Nonostante i suoi capricci, le sue smorfie, i nostri litigi… sentivo di essere in paradiso. Sì, un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno, ma pur sempre in paradiso”?
Per tutti questi motivi, che palle la Murgia, in vena di “atti politici”, con le foto della sua famiglia queer! Madonna, quanta necessità di essere accettati da tutti i bravi borghesi! Perché? È morboso! Molto peggio di essere sinceramente anormali. Questo è cercare l’approvazione, una cosa tipica degli insicuri.
E cosa vuol dire questa supercazzola? “Nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire”.
Io vorrei vivere con 6 donne: tre più grandi di vent’anni che mi facessero da madri, tre di due decenni più piccole che mi fossero figlie d’anima (per usare l’espressione sarda che a Michela piace tanto). Le vorrei pure alcune magre, perfettamente in linea, altre curvy. Insomma, una grande varietà che vive armoniosamente come in una comune hippy. Andrebbe bene anche se qualcuna fosse vagamente socialista, purché, in soggiorno, mi faccia tenere, incorniciata, la bandiera americana e il ritratto di Marx come tira freccette.
In effetti che noia essere normali! Che terribile invasione della propria intimità, se lo Stato volesse riconoscere la mia diversità con uno dei suoi infiniti atti burocratici, se mi obbligasse a registrare come sacrosanta una qualunque delle mie perversioni presso uno dei suoi grigi uffici. Potrei, addirittura, decidere di recarmi in Chiesa e mettere su una debosciatissima famiglia monogamica. Michela, dai retta, lascia perdere, ogni riconoscimento altrui è la fine della libertà.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
Caro Matteo,
me ne sono andato dall’Italia 5 anni fa. Non che qua dove sono ora sia molto meglio, ma un paese di morti viventi come l’Italia difficile trovarlo. Il 98% degli italiani sono autentici zombie, ma poi vi è quel 2% che davvero è di un livello altissimo.
L’ho scoperta per caso, ascoltando Radio Radio. Anche se sotto sotto mi sembra che indossi le mutande del PD, non raramente dissento da certe Sue opinioni, devo però dire che la Sua arguzia la Sua capacità ficcante di rimestare nella brodaglia insipida e morente della cultura italiana è davvero unica. E ogni giorno su telegram uno dei primi che cerco è Lei per stimolarmi la giornata con la sua capacità birichina di irridere. Amo il suo modo autentico di dire pane al pane e vino al vino, l’esser diretto senza mezzi termini, che è la cosa che amo di più del paese in cui mi trovo attualmente. Mentre in Italia pochi sono come Lei, la maggioranza è coperta da innumerevoli strati di ipocrisia e maniere ipocrite per non dire falsita, dediti unicamente alla cultura egoistica del proprio orticello, del proprio interesse personale prima di tutto, come teorizzò un grande esperto di orticelli: Francesco Guicciardini.
Grazie Matteo, continui così. E’ un piacere leggerLa. Viva l’Italia che ogni tanto partorisce anche figli come Lei.
Finestra di Overton, siamo in fase avanzatissima, così se ne parla come se fosse la cosa più fottutamente normale del mondo. Però che meraviglia l‘immagine del distacco dal ruolo per vivere il sentimento senza filtri. E bravo Matteo.