NO, ANCORA VELTRONI! PURE ACCOMPAGNATO DAL CARDINALE (di Clara Carluccio)
Il politico e il vescovo uniti in un vaneggiamento ateo clericale, fluido come i tempi e i gender che corrono. Un libro scritto a quattro mani, un rosario e del concime da giardino.
Si tratta di Non arrendiamoci, di Walter Veltroni e Matteo Zuppi (Rizzoli), una breve rassegna dei mali che affliggono l’arido cuore dell’uomo contemporaneo: paura, tristezza, indifferenza ed egoismo, divisi ognuno per capitolo e analizzati con saggezza naïf, modello Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. I toni sono quelli pacati e diplomatici del genere di discorso che piace a tutti e non fa incazzare nessuno. Insomma, un testo inutile.
“Walter, disegnaci una pecora”, così si poteva aprire questo libro perché, come accade nel romanzetto più citato dalle book influencer, i due amici rispondono alle esigenze del mondo raffigurando scatole concettuali di banalità, ignorando la vera essenza dei problemi.
Tutto ha inizio con la metafora del giardino, lanciata dall’umile uomo del quartiere romano, Veltroine de Saint Vellétry: “dal giardino aperto, siamo arrivati, nel giro di pochi anni, al giardino chiuso, abbiamo assistito alla crescita infestante della pianta dell’egolatria”. Studi botanici riferiscono della capacità di mutuo soccorso che le piante più robuste mettono in atto nel trasferire nutrimento agli esemplari in difficoltà, cresciuti in un punto sfavorevole e senza luce. Sulla base di questo fenomeno, in un pretenziosetto parallelismo tra regno vegetale e specie umana, gli autori ci dicono che dobbiamo prendere esempio dagli arbusti e rivalutare il concetto di fratellanza ma, prima di tutto, di accoglienza.
“Occorrono artigiani di pace e architetti di pace, artigiani di fraternità e architetti di fraternità”, dice Zuppi, ma Veltroni la prende di petto: “gli immigrati fuggono da terre dove l’aspettativa di vita è tragicamente bassa e legittimamente vogliono vivere come gli umani più fortunati della Terra”.
Le petit Walter, con il vecchio stereotipo del Mulino Bianco, pensa che basti vivere qui per essere ricchi e felici: abuso di droga e alcol, dipendenza da psicofarmaci, ansia, depressione, disoccupazione, spese insostenibili, autolesionismo e suicidio anche tra giovanissimi, terremotati che vivono nei container e denatalità, per lui, sono solo emanazioni negative di menti pessimiste e poco resilienti. Non serve essere dei fascistoni e leghistoni per pensare che, problemi marginali come questi, non costituiscano le migliori fondamenta dell’accoglienza.
Ma ecco che interviene il rappresentante di Dio con una pastorale più audace: “Chi sogna un’Italia grande, chi vuole sposare un discorso nazionale, deve mettersi al lavoro e organizzare l’accoglienza, lavorare seriamente sui flussi migratori, avere consapevolezza che mezza Italia è spopolata e sapere che si può e si deve dare forma a una nuova Italia”. Dunque è il progressivo spopolamento di una nazione a determinare tutti questi buoni sentimenti di accoglienza? Pensavamo lo facessero ancora per fratellanza botanica.
Una volta celebrata la predica – nel senso di pippone –, Zuppi tenta di addolcire la pillola ed ogni eventuale reticenza immigrazionista parlando di Gesù, della paura della vita e delle avversità in generale: “Il coraggio è la risposta alla paura […] Gesù vive profondamente un combattimento interiore, mostra a tutti noi che cosa significhi affrontare il dolore solo per amore. È l’amore che ci fa diventare coraggiosi”. A questo punto, ci manca solo di iniziare a cantare tutti insieme “Io credo in te, Gesù/ appartengo a te, Signor”. Sinceramente, Alexa sarebbe una guida spirituale migliore. Grazie, Don Matteo!
Ma l’uomo di molta fede, già che c’è, dice la sua anche riguardo la Pubblica Amministrazione, in una breve parentesi che apre e chiude così: “Prendiamo per esempio tutto ciò che rappresenta il Pnrr: in termini di opportunità è senz’altro decisivo, ma viene percepito come un elemento contingente e relativo”. Demonio! Non gli viene proprio in mente che, fino ad ora, le varie transizioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, hanno creato più problemi che altro.
Dunque, il libro del duo Veltroni-Zuppi si chiama Non arrendiamoci perché vuole infondere speranza nell’umanità, nell’avvenire e nel venire di sempre più immigrati per ripopolare la cimiteriale Italia. “Non arrendiamoci alla tristezza”, “non arrendiamoci alla guerra”, “non arrendiamoci alla morte”. Se è vero che l’essenziale è invisibile agli occhi, per il piccolo Valtroin sono le questioni più grandi ad essere oscure alla sua montatura di occhiali.
Clara Carluccio
L’AUTRICE
Clara Carluccio nasce a Milano, nel 1985, e risiede attualmente in provincia di Brescia. Per errore di gioventù studia alla scuola agraria del quartiere Comasina di Milano, incidentalmente ubicata in prossimità dell’istituto Paolo Pini, il manicomio in cui venne rinchiusa la poetessa Alda Merini. Dopodiché, decide di perfezionare la sua conoscenza del mondo tra lavori precari e umilianti della peggior specie. Si trova così a svolgere mansioni quali: Oss in una RSA, segretaria, barista, guardarobiera in discoteca non guardata da nessuno, cameriera ai piani, cuoca incapace in un centro disabili, domestica – non dite colf – in nero e banconiera al supermarket declassata poi al semplice ruolo di scaffalista inutile al mondo e a se stessa – il tutto con un contratto da stagista. Suo malgrado, colleziona infruttuosi corsi di cucito, danza quale tribal fusion e contemporanea, naturopatia. È appassionata di lingue straniere, in particolare inglese e portoghese. È approdata a “Il Detonatore” dopo vari messaggi di stalking rivolti all’indirizzo di Matteo Fais. La trovate su Facebook e Instagram, ma non riesce a postare i suoi link.
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