Il Detonatore

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LE SFIDE DELLA MEDICINA NELLA SOCIETÀ DEL POST PANDEMIA. INTERVISTA AL DOTTOR FONTANA (di Michele Arena)

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Pio Eugenio Fontana è medico specialista in Medicina Interna e Geriatria, responsabile del servizio di Geriatria della Clinica Moncucco di Lugano. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, è stato capoclinica per la Geriatria presso gli Hopitaux Universitaires di Ginevra dal 1997 al 2000, successivamente caposervizio presso L’Ente Ospedaliero Cantonale. Attualmente è docente per la geriatria del Master di medicina umana presso l’Università della Svizzera Italiana. Acuto conoscitore della Storia Moderna, collabora con varie testate giornalistiche della Svizzera Italiana, oltre a presiedere il gruppo Ticinese “Libertà e Valori”, un think tank che si occupa di politica di sicurezza, in particolare della relazione tra libertà, democrazia e diritto dei cittadini svizzeri di essere armati e di servire nell’esercito di milizia.

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Dottor Fontana, Lei è cresciuto a Milano, in una famiglia con la passione per la Svizzera.

Ho vissuto a Milano fino ai primi ’80, quando mio padre decise di lasciare l’Italia. Erano gli anni di piombo: c’erano il terrorismo comunista, quello neofascista – sappiamo, poi, che avevano altre origini – e vi erano i rapimenti. Mio padre, avendo avuto degli amici rapiti e mai più tornati a casa, decise inizialmente di trasferirci tutti a Toronto. Poi, di fronte al rifiuto di mia madre di andare così lontano, optò per il Ticino. Sia lui che mio nonno conoscevano ed amavano molto la Svizzera per ragioni storiche familiari.

Era diverso anche il ruolo del medico.

La grande differenza che ai tempi ho riscontrato, e di cui mi parlava già mio padre, è che in Svizzera il cittadino è padrone, mentre in Italia è suddito. Questa ha delle ricadute a ogni livello, dalla relazione con l’amministrazione pubblica a quella col sistema sanitario. Ricordo che, il primo giorno di servizio all’Ospedale Italiano di Lugano, il mio primario mi disse: “Siete qui per servire la popolazione che paga il vostro stipendio. Qua si arriva e si lavora col sorriso, i vostri problemi personali restano fuori”. Fu un discorso inaspettato per me, essendomi confrontato in Italia con esperienze traumatiche di mancanza di rispetto nei confronti dei malati e della loro sofferenza, dovuta a ignoranza, disorganizzazione, e avidità di denaro.

Lei conosce profondamente il sistema sanitario e politico italiano. La pandemia ha svelato le criticità e le fragilità del primo che la politica è riuscita solo parzialmente ad arginare, nonostante l’adozione di provvedimenti restrittivi e coercitivi molto più severi di altri paesi.

Giorgio Agamben, per tanti anni il filosofo più celebrato della Sinistra, un grande genio, già un po’ di tempo fa scriveva del “…velo democratico dei regimi occidentali che cade alla prima crisi e mostra il vero volto autoritario”. Questa sua affermazione penso possa aiutare a capire quel che è successo in Italia, ma anche in tante altre parti del mondo. Quando si sono sparse le prime notizie di questa infezione, che almeno in apparenza affliggeva solo la Cina, chi, come il presidente Trump, chiese di bloccare i voli dalla Cina, venne irriso e definito razzista. Nel frattempo, nei mesi che passarono prima dell’arrivo dell’infezione in Europa, nessuno fece niente, neanche la Svizzera. Non si comprarono neanche le mascherine, i guanti di gomma e altre semplici attrezzature da mettere a disposizione della popolazione e dei medici. Poi, quando arrivò, fu il caos. L’Italia, grazie alle politiche scellerate dei governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni, ha chiuso circa metà dei suoi posti letto ospedalieri, compresi quelli di terapia intensiva. Troppi pazienti, pochi letti, poco personale medico e paramedico, nessuna pianificazione in caso di catastrofe… Ed il sistema è crollato. E quando c’è il panico, i politici devono cercare a tutti i costi delle “soluzioni” per rispondere alle aspettative dell’opinione pubblica. A quel punto v’è stata una devianza autoritaria, dove quello che di buono si sarebbe potuto fare è stato fatto solo in minima parte, nel contempo privando i cittadini delle più elementari libertà personali, che pure la Costituzione Italiana tutela. È vero, lo stesso è accaduto in tante altre nazioni. Quando ho sentito che a Parigi vigeva il coprifuoco dalle ore diciotto, mi sono ricordato di quello imposto dai Nazisti durante l’occupazione ed un brivido mi ha scosso la schiena. Arrivata la crisi, la pseudo-democrazia ha mostrato la sua reale natura: sono state create queste figure di “esperti” autoreferenti, che dettavano legge quando, in realtà, nessuno sapeva veramente cosa fare per frenare l’epidemia e curare gli ammalati. Si è così inventata la “vigile attesa” che, sicuramente, ha fatto morire delle persone che potevano essere salvate. Poi è arrivata la questione dei vaccini, su cui penso molto andrà ancora compreso nel corso dei prossimi mesi e anni. Vi è un fatto: la Svezia, che non ha imposto alcun lockdown, ha avuto, in proporzione con la popolazione, meno morti dell’Italia, della Francia e della Spagna, che invece hanno imposto restrizioni gravissime al lavoro ed alla circolazione dei cittadini. Ricordo che, in quel periodo di follia generalizzata, solo il “British Medical Journal” uscì con un articolo coraggioso, in cui scrissero che i lockdown sarebbero serviti unicamente a creare qualche milione di poveri in più in Europa, senza che vi fosse alcuna ragione logica né prova scientifica per pensare che avrebbero limitato il contagio. Infatti, è andata così.

Quali sono le differenze tra il sistema sanitario elvetico e italiano?

Le differenze tra i due sistemi sanitari sono importanti, già dal punto di vista concettuale-organizzativo. Il nostro è particolare, poiché prevede l’obbligo di avere delle assicurazioni sanitarie private (le “casse malati”), invero molto costose, che coprono i costi delle cure ambulatoriali o stazionarie e lasciano ampia possibilità di scelta al paziente di andare in ospedale pubblico oppure in una clinica privata. Chi non riesce a pagare la cassa malati riceve un supporto parziale o completo da parte dello Stato. A parte ciò, vi è, a mio avviso, una forte differenza di mentalità. In Svizzera il rapporto tra Libero Cittadino e Stato è stato per secoli, ed in parte è ancora, un unicum a livello europeo. Tanto che Giacomo Casanova, raccontando del suo viaggio in Svizzera del 1760, riferì di essere stato molto sorpreso delle libertà di cui godevano gli Svizzeri e del fatto che, già alla fine del 1500, la condizione servile era stata praticamente abolita. A partire da quel periodo, quindi, prese sempre più forza la figura del Libero Cittadino che partecipa attivamente alla vita sociale, politica e militare del Paese, condividendo i diritti ed i doveri del Popolo Sovrano. Per questa ragione, in Svizzera, è il servizio sanitario che si mette al servizio dei cittadini e non il contrario, come purtroppo ho visto succedere troppo spesso in Italia. Già questo fa una grande differenza. Altri elementi importanti sono la migliore organizzazione ed il più stretto controllo sull’effettiva destinazione del denaro investito, facendo sì che, spendendo per la sanità una parte del PIL simile a quella di Francia e Germania (poco meno del 12%), le cure offerte siano sicuramente migliori di questi paesi. Tornando al paragone con l’Italia, che dedica alla sanità solo il 7.5 % del suo PIL, bisogna pur ammettere che il budget a disposizione per ogni abitante è molto diverso: la Svizzera spende in media 9648 CHF all’anno per abitante, l’Italia 2833 Euro. L’Irlanda, giusto per avere un altro termine di paragone, ne spende 5.665. Per quanto mi riguarda, come medico e come cittadino, quel che più conta è che, nel mio Paese, siamo ancora in grado di offrire cure sanitarie di alto livello a tutti gli abitanti, indipendentemente dal loro censo. Ciò è un qualcosa di cui andiamo particolarmente fieri.

Secondo lei quale sarà la tendenza nel prossimo futuro in Italia?

Penso che l’Italia sia in avanzata fase di grecizzazione. Di quella grande potenza economica industriale di cui Craxi andava giustamente orgoglioso, non rimane praticamente più nulla. Lo Stato ha svenduto ai privati tutti i suoi immensi possedimenti e la devastazione economica causata dalla crisi pandemica (o, sarebbe forse meglio dire, dalla sua insensata gestione da parte dello Stato) viene sfruttata dai grandi fondi di investimento internazionali per acquistare, a basso prezzo, un numero enorme di proprietà, che vanno dalle medie e piccole industrie ai porti, dai marchi di lusso alle case per anziani, dai ristoranti agli alberghi e chi più ne ha, più ne metta. La miseria è esplosa e sono milioni le famiglie italiane che non hanno più il necessario per sostenersi. Contemporaneamente, non cessa l’arrivo di moltitudini di migranti – un tempo li si definiva “clandestini” – che giungono dall’Africa e dall’Asia, spesso con poca professionalità, per andare a infoltire le fila dei poveri che sopravvivono di lavoro nero e di espedienti, se non quelle dei malavitosi. D’altra parte i governi che si succedono mi sembrano composti perlopiù da persone di bassa statura politica, semplici marionette, prive di etica e di dignità, che vengono sostituite al bisogno da burattinai appartenenti ai grandi gruppi di potere globalizzati. Nonostante le solite promesse pre-elettorali, non mi pare che la Meloni si stia comportando diversamente da Draghi, né da quelli che lo hanno preceduto. Non difendono gli interessi degli Italiani, ma solo quello di coloro che dell’Italia si approfittano. Ida Magli, grandissima intellettuale e patriota italiana, scrisse: “…mai nessun popolo come quello italiano è stato tradito dai suoi governanti in maniera così determinata, ossessiva, cinica, perversa”. Spero di sbagliarmi, perché amo molto l’Italia, ma mi sembra veramente difficile immaginare un futuro diverso da un lungo periodo di ulteriore regressione sociale, di miseria spirituale e materiale, di conflitti sociali e razziali. Non è che la Francia sia messa molto meglio e anche gli altri paesi non versano in condizioni migliori. La Svizzera, per il momento, si salva ancora, ma è sotto grande pressione da parte degli Stati Uniti e della UE. Abbiamo perso molte delle nostre libertà, poiché anche i nostri politici sono pavidi ed asserviti a logiche che han poco a che fare con l’interesse nazionale. Certo riusciamo ancora a controllarli ed a limitarne i danni grazie ad un sistema di democrazia diretta, ma è difficile dire sino a quando sarà possibile. Dipenderà molto da come cambieranno gli equilibri internazionali.

Lei è sempre a contatto con i giovani medici. Che differenze ha notato nel tempo e che consigli darebbe ad un neolaureato o ad un giovane che voglia intraprendere la carriera?

Vista la mia funzione, mi relaziono regolarmente sia con i medici svizzeri della mia generazione che con i giovani colleghi italiani che vengono a lavorare in Svizzera, per specializzarsi e dare un futuro migliore a sé stessi ed alle loro famiglie. Quando ero giovane io, la maggioranza dei dottori attivi in ospedale e sul territorio aveva studiato in Svizzera. Mi ricordo che, da assistente, i primari erano in prevalenza alti ufficiali dell’esercito ed i giovani avevano spesso il grado di tenente o primo tenente. C’era una disciplina ferrea, di tipo militare, ma anche molto cameratismo ed i miei primari si dimostrarono tutti degli eccellenti clinici e degli ottimi insegnanti. Lavoravamo, però, decisamente troppo e la nostra vita familiare ne ha sofferto. Nel frattempo le generazioni sono cambiate: i giovani hanno sicuramente più interesse a proteggere un po’ la loro vita privata e questo è un bene. Io stesso, ai tempi, quando ero un attivista del sindacato dei medici assistenti, mi sono battuto in prima linea per avere dei contratti di lavoro più umani. Attualmente, la maggioranza dei miei medici assistenti vengono dall’Italia. Pur d’imparare l’arte e diventare di valore, sono disposti ad impegnarsi moltissimo in un sistema decisamente più esigente di quello da cui provengono. Soprattutto, accettano il grande sacrificio di abbandonare la propria famiglia ed il proprio Paese. È questo, d’altra parte, da secoli, il destino delle migliori menti d’Italia. Vengono ricompensati, è pur giusto dirlo, da grandi risultati formativi e professionali, oltre che da ottimi salari. A chi vuole avvicinarsi alla professione di medico posso dare due consigli. Legga prima di tutto La Cittadella di Cronin di Archibald Joseph Cronin: quel che vi troverà a proposito della professione e dei medici, nel bene e nel male, è vero ancor oggi. Se capirà di avere abbastanza coraggio per affrontare una sfida così, per viverla con grande passione, allora parta e non si fermi davanti a nessun ostacolo. La vita del medico è allo stesso tempo meravigliosa e terribile, alcuni arrivano ad odiarla, io non potrei fare altro.

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Quali saranno i settori e le aree di interesse più ambite nel breve termine? Prevede un cambiamento radicale della nostra professione?

Nel breve e medio termine non credo che, nel settore medico, cambieranno molto i compiti e le funzioni. In Svizzera, abbiamo un grande bisogno di medici di famiglia. Ci sono anche altre specialità sotto-rappresentate come la Geriatria: gli 8 anni necessari per formarsi spaventano i giovani, ma è un peccato perché, con l’invecchiamento della popolazione, la maggioranza dei pazienti sono anziani e per curarli bene bisogna saper fare tutte le cose che fanno gli internisti e, in più, intendersi di terapia del dolore, nutrizione, declino cognitivo, psichiatria e di molti altri problemi legati alla fragilità. Essere geriatra in Svizzera vuol dire appartenere ad una ristretta élite di specialisti che non rimangono mai senza lavoro. Ci sono, certo, tante altre specializzazioni, alcune molto più gettonate, come la cardiologia o la gastroenterologia, che prevedono gesti tecnici che molti giovani trovano appassionanti.

So che è un appassionato di Storia Moderna. Come ci insegna Vico, nei corsi e ricorsi storici, ogni periodo fa parte di un ciclo che si ripete. Secondo lei, aiutandoci ad avere uno sguardo più ampio, la fase di crisi economica e politica che stiamo attraversando, porterà ad un nuovo rinascimento culturale e sociale in Europa?

Temo che né questa generazione, né la prossima vedranno l’inversione dell’attuale declino culturale, politico, sociale, finanziario e militare dell’Occidente. I cicli della storia si svolgono, infatti, nell’arco di secoli e non in decenni. La guerra in Ucraina ha semplicemente accelerato il processo di putrefazione delle cosiddette democrazie occidentali, che, sconfitti Nazismo e Comunismo, non sono state capaci di consolidare le acquisizioni democratiche pagate a caro prezzo da intere generazioni, a partire dalla seconda metà dell’800, e sono cadute preda di quel liberalismo economico, sfrenato e globalizzato, ben stigmatizzato da Alain De Benoit: “Una società liberale è una società in cui dominano la supremazia dell’individuo isolato, l’ideologia del progresso e dei diritti dell’uomo, l’ossessione della crescita, lo spazio dominante attribuito ai valori mercantili”. Il liberalismo è all’origine della mondializzazione, la quale non è altro che la trasformazione del Pianeta in un immenso mercato, e ispira quello che oggi si chiama “pensiero unico”. E, come ogni ideologia dominante, è anche l’ideologia della classe dominante. Il liberalismo è una dottrina filosofica, economica e politica e deve essere studiato e giudicato in quanto tale. Il vecchio spartiacque Destra-Sinistra è a questo riguardo inutile, poiché la Sinistra dei costumi – dimenticando le ragioni sociali – ha aderito alle logiche del mercato, mentre la Destra del denaro – alimentando il capitalismo – distrugge sistematicamente tutto ciò che andrebbe conservato. I grandi corrotti e corruttori sono, attualmente, gli anglosassoni, i quali non riconoscono praticamente più nulla delle loro stesse radici e tradizioni. Tutto ciò che ci è caro e ci caratterizzava viene negato: la fedeltà alla famiglia, la certezza della propria sessualità, l’appartenenza alla cultura ed alla terra dei padri, l’attaccamento ai miti fondatori, la capacità di reagire di fronte alle perversioni di cui l’essere umano è capace, in particolare verso i bambini.  Lo scopo, peraltro dichiarato apertamente da alcuni, è quello di creare una società abitata da individui privi di radici e di valori, con scarse competenze sociali, validi nel loro lavoro, ma isolati ed incerti di tutto, convinti di essere liberi ma, in realtà, ridotti allo stato di servi, di lavoratori-consumatori-pagatori di tasse. Diego Fusaro, nel suo recente Il nuovo ordine erotico Mondiale. Elogio della famiglia, spiega perché si sia voluta colpire la famiglia come istituzione e perché si sia voluto togliere sicurezza all’identità sessuale, così come alla nazionalità o all’appartenenza a una cultura. D’altra parte il conte Kalergi, uno dei fondatori della Comunità Europea, già nel 1925, nel suo libro Praktischer Idealismus, ipotizzava un’Europa abitata da una popolazione meticcia di lavoratori, consumatori, pagatori di tasse, senza tradizioni e senza radici, governata da un élite di bianchi ricchi. L’Unione Europea a tutt’oggi assegna un premio a lui intitolato: lo hanno ricevuto, tra gli altri, Sandro Pertini, Ronald Reagan, Helmut Kohl, Angela Merkel, Jean-Claude Junker (sì, quello perennemente ubriaco) e, dulcis in fundo, ai “100 eroi del movimento Euromaidan”…

L’AUTORE

MICHELE ARENA nato a Monza nel 1992, è medico otorinolaringoiatra libero professionista in Italia e ricercatore in Svizzera. Rappresentante dei Medici Specializzandi dell’Università Milano-Bicocca dal 2019 al 2021, da sempre appassionato di politica e impegno civile, nel 2020 ha partecipato alla fondazione dell’associazione Medici Specializzandi Lombardi che si è battuta per i diritti dei colleghi in formazione. La dura esperienza della pandemia lo lega ad un gruppo di amici con i quali condivide esperienze, idee e interrogativi comuni. Il progetto di dare forma a questi pensieri incontra la penna di Matteo Fais. Da allora, collabora con “Il Detonatore” su temi di sanità e ambiente.

CONTATTI:

email: arena.michele@yahoo.com

Instagram :   @micarena92

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