LA DIFFERENZA TRA SCAMBIO CULTURALE E SOSTITUZIONE (di Matteo Fais)
Un popolo è tanto più ignorante quanto più si arrocca in una malsana idea di tradizione. E, no, non c’è niente di male nel contaminarsi, prendere spunto, ispirazione e stimolo da culture totalmente altre. Il melting pot, contrariamente a quanto si crede, è, nelle giuste dimensioni, ovvero quelle che non conducono all’annullamento, la migliore delle soluzioni possibili.
Va da sé che tutto ciò non ha niente a che fare con l’immigrazione che non genera scambio, ma convivenza forzata, con l’accatastarsi di varie realtà antropologiche – attenzione, non culturali! – all’interno dello stesso territorio, enclave che vivono ognuna nel proprio spazio guardandosi in cagnesco con le altre. Pensateci: quante volte avete condiviso la vostra cultura con un cinese o un africano? Mai è fuor di dubbio la risposta più plausibile.
Certamente sarebbe fantastico vivere in una società dove si possa incontrare un americano, un cinese, un giapponese, un africano, un francese e via dicendo, con ognuno che mette sul piatto un sapere diverso e peculiare. Ma questo è un sogno. Avete mai incontrato un filippino che fosse in grado di parlarvi della sua letteratura nazionale? Chi arriva qua, di solito, lo fa solo per spazzare per terra e pulirci il bagno. Praticamente, è un negro nell’America dell’800 che, invece che essere imbarcato a viva forza su una nave di negrieri, ha preso autonomamente l’aereo per recarsi nel luogo in cui verrà sfruttato.
In fondo, al di là della creazione di bacini di manodopera a basso costo, tutto questo gran spostamento di popolazioni non ha prodotto niente di buono. Non accrescimento, dibattito, ma vicinanza senza senso, generando un clima esasperato che, entro non molto tempo, porterà allo scontro etnico.
Altro che sviluppo e avvicinamento! La presa per il culo della Sinistra è totale. In troppi confondono la società multietnica e quella multiculturale. La prima accumula senza che vi sia una volontà comune – la condivisione, appunto –; la seconda si pone solo dove un’identità incontra un’alterità nella precisa intenzione di instaurare uno scambio dialettico – situazione mai verificatasi.
Dunque, la Meloni ha ragione sul fatto che non servono più migranti. La situazione è già oltremodo fuori controllo. Peraltro, pure se si dovessero integrare, che ce ne faremmo di gente con gli occhi a mandorla che parla con accento milanese o palermitano? Niente, diciamocelo chiaro e tondo. L’altro da sé è bello solo finché resta altro, finché porta la sua diversità irriducibile al cospetto della nostra.
In questa coabitazione, l’Italia sta semplicemente scomparendo, invece che evolversi e prendere il meglio dalle altre culture. Non abbiamo più niente da dare, perché semplicemente ci stiamo estinguendo livellandoci verso l’incultura totale. Tra qualche decennio, saremo tutti uguali, incapaci persino di parlare la nostra lingua, confusi tra i tanti apolidi senza patria né tradizioni.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
Se parliamo di multiculturalismo praticamente parliamo di turismo. Andare in un posto ( peraltro già saturo e sulla via dell’ impoverimento) per contendersi lavori sottopagati non può che portare a uno sconto tra disgraziati quindi il senso del post mi sembra piuttosto efficace.
Secondo me sui social, tralasciando la spazzatura, si assiste ogni giorno a fenomeni di interscambio culturale. Forse la situazione non è così drammatica. Poi, nella cucina, questo interscambio esiste, da sempre, e sembra intensificarsi di anno in anno. La cucina è cultura e si lascia contaminare.