UN INSOLITO ROMANZO SULLA SCHIAVITÙ: “IL MASSACRO DI HAITI” DI BECCIU (di Matteo Fais)
Le prime prove di scrittura, nel’odierno panorama letterario, sono spesso contraddistinte dall’autobiografismo – non che ci sia niente di male, almeno finché non ci si riduce al sollazzo ombelicale. Esistono, poi, gli autori che scelgono di parlare di tutt’altro, addirittura di buttarsi fin da principio su generi che con il realismo hanno ben poco a che fare, come il fantasy.
Tra i mediamente giovani, si fa largo anche la tendenza a raccontare storie di un passato non certo lontanissimo in linea temporale, ma comunque non vissuto: gli anni ’60-’70. I risultati difficilmente sono ragguardevoli. L’ultima metà del secolo scorso ha attraversato mutazioni antropologiche troppo celeri perché una persona nata negli anni ’80-’90 – o peggio ancora alle soglie del nuovo millennio – possa averne reale cognizione e calarsi nei panni dei propri genitori o nonni.
Certo, ciò che è veramente raro è che un autore esordiente si cimenti nientemeno che con la forma del romanzo storico – quando ci provano, è solo per parlare male del Fascismo, o meglio del presente, accusandolo di essere simile agli anni ’20, inanellando di solito una sequela di paragoni stiracchiati e privi di fondamento.
In tal senso, è certamente un unicum la prima fatica di Giovanni Becciu, Il massacro di Haiti – Il diario di Marie (Passaggio al Bosco). Si tratta di un romanzo che prende le mosse dallo spaventoso terremoto del 2010 ad Haiti, quando Maurice, giovane bianco nato in loco, ritrova un diario e inizia a trascriverlo. Il testo, infatti, è in massima parte costituito dalla riproposizione delle pagine manoscritte di Marie Lemoine, figlia di ricchi possidenti provenienti dalla Francia, che avevano fatto fortuna sull’allora Isola di Sant-Domingue.
Attraverso la vita di una ragazza prossima a raggiungere i 15 anni, il lettore scopre l’universo e la quotidianità di una famiglia a fine ’700, quando, successivamente alla Rivoluzione Francese, vanno diffondendosi idee di uguaglianza che porteranno l’isola caraibica a una situazione di guerriglia totale, con bande di ex schiavi fuggiaschi in lotta contro i bianchi colonizzatori.
“Papà mi ha regalato questo diario perché dice che è bene che si tenga sempre un accurato resoconto di quello che la vita ci riserva […] La tenuta della mia famiglia è una delle più grandi dell’isola. È situata a circa un giorno, almeno in carrozza, dalla città portuale di Cap-Français. La nostra è una delle piantagioni di zucchero più importanti: la possediamo da un centinaio di anni e questo fa della mia famiglia, i Lemoine, una delle più ricche di Saint-Domingue. Abbiamo all’incirca duecento schiavi di nostra proprietà, che lavorano nei campi. Un’altra ventina, poi, si occupano dei lavori domestici nella nostra villa. Sono la più piccola di cinque figli, l’unica femmina”, così inizia il testo, restituendo subito il senso di un altro mondo, così distante da quello attuale.
Becciu è stato bravo nel commisurare il linguaggio a quello di una simile voce narrante, evitando di lasciarsi andare a slanci o esercizi di stile del tutto improbabili da parte di una ragazza praticamente avulsa da qualsivoglia forma di educazione scolastica continuativa e strutturata – ricordatelo sempre, quando operai e docenti universitari, in un libro, parlano allo stesso modo, significa unicamente che l’autore non sa scrivere, nel senso di dare voce ai personaggi.
Ma la cosa più sorprendente di questo libro, così inconsueto, è che la scelta di quei capitoli brevi, come appunto la forma diaristica di solito è, risulta incredibilmente accattivante, invitando a procedere nella lettura. In sintesi, il testo scorre e viene voglia di andare avanti, di capire come andrà a finire – contrariamente a quel che credono in molti, il fatto che il lettore si impantani nel testo, o non riesca ad andare oltre le due pagine al giorno, non è un buon segno e meno che mai è indice di profondità nella scrittura.
Certo, l’opera risulta controversa. La narratrice è una convinta schiavista, nata e cresciuta entro quella mentalità che, in lei, non conosce incrinature né risvolti empatici – caratteristica tipica, invece, di tutti i film e romanzi sullo schiavismo. Non si induce il lettore a patteggiare per i buoni. L’orrore e la malignità sono prassi condivisa da ambo le parti. Uccisioni, mutilazioni, stupri. Nessuno sembra essere innocente e ognuno è convinto di essere nel giusto. Chiaramente, un punto di vista difficile da portare avanti, ma coraggioso e, fuor di dubbio, totalmente inedito.
Un romanzo, insomma, da leggere anche per entrare in contatto con una parte della storia poco battuta, uno spaccato a parte del fenomeno della schiavitù in America e per esplorare la stranezza dell’animo umano: la ragazza così dolce, e capace di tanti slanci amorosi, è la stessa che suggerisce al padre come ammansire, con la violenza più efferata, l’animo degli schiavi, prima che la situazione sfugga totalmente di mano. L’ideale per chi del passato vuole vedere anche i chiaroscuri e le sfumature.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.