LA CANCELLAZIONE DELLA FESTA DEL PAPÀ E LA FAMIGLIA ARCOBALENO (di Matteo Fais)
Il paradosso è, per molti versi, grottesco, per altri doloroso. Se non fosse che ci sono di mezzo dei poveri bambini, verrebbe da ridere: ci si lamenta perché non vengono riconosciuti i figli delle coppie omosessuali – quali? Da quando possono averne? –, mentre, frattanto, una Preside, a Viareggio, cancella la Festa del Papà, per non far torto ai bambini senza padre – tutti ne abbiamo uno, anche chi l’ha seppellito.
È evidente che questa società, se vuole dirsi realmente liberale, deve accettare l’esistenza di una forte componente omosessuale al suo interno. Un certo tipo di orientamento c’è sempre stato e per sempre ci sarà. Meglio mettersi l’anima in pace. Per quanto perverso o malato possa essere, conservatori e reazionari devono farla finita una volta per tutte di rompere i coglioni. La società occidentale è fondata da gente che era avvezza a forme d’amore non proprio tradizionali.
Certo, cionondimeno, resta saldo un punto: si nasce o maschi o femmine e unicamente dall’unione di due individui di sesso opposto può prendere forma la vita. Poi, sì, in laboratorio, si potranno anche imitare i processi naturali, ma tutto ciò è assurdo, come tenere in vita un essere umano – si veda il caso di Eluana Englaro –, per decenni, a mezzo di mostruose macchine, in ragione di un’ideologia falsamente cattolica ma in vero profondamente distorta.
Se è il caso, dunque, meglio ribadire l’ovvio: da una coppia omosessuale – che ha tutto il diritto di esistere, formarsi e prosperare – non si genera niente, come da un rapporto di BDSM, tra frustate, urla e sangue, non spuntano bambini – per quanto, in una società aperta, ognuno debba poter fare tutto il BDSM che preferisce. Una persona di qualsivoglia tendenza deve avere il diritto di associarsi con chi meglio crede, purché lasci la procreazione nelle mani di chi ne ha la possibilità naturale.
Per quel che riguarda il caso della Preside, la tendenza protettiva di questa nostra società è decisamente sfuggita di mano. Non si può far finta che il padre, come figura, non esista solo perché un infante non abbia da soffrire. Come non si può negare l’esistenza della disabilità, dandole un nome ridicolo, come se questa potesse così scomparire per magia.
Il bambino deve imparare a fare i conti con la durezza dell’esistenza e ciò può avvenire solo rendendosi conto di trovarsi privato di un qualcosa che, per gli altri, è la normalità.
Negare la realtà non è un modo per proteggere, ma solo per indebolire il soggetto sul piano morale. Si tratta di una gigantesca rimozione che lo renderà uno smidollato. Soffrire vuol dire imparare a vivere. Le emozioni negative sono ciò con cui, per contrasto, si costruisce il senso di quel che è positivo.
Se n’è reso conto persino un buonista del cavolo come Gramellini, quando ha scritto che: “a forza di eliminare ogni cosa che possa anche solo lontanamente far soffrire qualcuno, si finisce per far soffrire un po’ tutti, e per non lasciare in piedi più nulla”. Come racconta lui stesso: “Quando persi mia madre, la maestra strappò da tutti i sussidiari la pagina che parlava di mamme. Aveva agito per proteggermi, e ancora adesso la purezza delle sue intenzioni mi commuove, però la sofferenza mi aspettava comunque all’uscita da scuola, quando mi ritrovavo a essere l’unico senza una madre ad attenderlo”. Pensateci, c’è arrivato anche uno come lui.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
E’ prevalsa la polarità femminile e gli uomini l’hanno introiettata (con l’eclisse del Padre).
La generazione “fiocchi di neve” è frutto di un dominio psichico materno (le spire soffocanti e mortifere del serpente Uroboros, che divora se stesso e il suo nascituro).
L’inclinazione al vittimismo ombroso, idem.
Ma anche la pretesa che i propri pensieri e azioni – per quanto asociali e orientati solo alla propria convenienza (escluso qualunque sacrificio a vantaggio degli altri) – è tipica di adulte cresciute come principessine capricciose.
Il motto americano “keep clean your hands” è tipico delle malefatte femminili: trasgredisci, ma di nascosto; tutela una tua immagine irreprensibile; e, se vieni sgamata, nega anche di fronte all’evidenza. Tu hai diritto ad essere ammiratA – ed oggi anche ammiratO – qualunque cosa dica o faccia; e hai diritto di adombrarti ogni volta che non vieni assecondata/o.