L’INDECOROSA BANALITÀ POETICA DI FRANCO ARMINIO IN “SACRO MINORE” (di Matteo Fais)
La copertina, tra capre, pecore e caproni, sembra quella di un romanzo ambientato in Sardegna – tipo l’ennesima riscoperta o ristampa di Grazia Deledda. In verità, si tratta di un libro di poesia che pare un accumulo di cartine con citazione, di quelle che si trovano nei Baci Perugina, ma senza la consolazione del cioccolatino che si accompagna a ogni stronzata stampata in corsivo.
Il testo in questione è Sacro Minore (Einaudi) di Franco Arminio, un volume che vorrebbe esplorare poeticamente il sacro del quotidiano e riesce, invece, unicamente a lasciare sgomenti per l’imbarazzante banalità dei componimenti. Un bignamino di ovvietà e stucchevole bontà utile per un infante delle elementari che non abbia voglia di scrivere i pensierini della domenica e cerchi dove copiarli.
Si tratta di un libro così quotidiano e poco sacro da poter immaginare che l’autore l’abbia buttato giù in uno o due giorni, scrivendo col cellulare, mentre era affaccendato a svuotarsi l’intestino, dopo i pasti. Come spiegarsi altrimenti versi quali “Sacro è chiedersi se un morto/ può portare qualcosa a un vivo/ di contrabbando”.
Centosessanta pagine e non una lirica che superi le cinque-sei righe. A sommarle, non arriveranno a sette poesie con un minimo di sostanza e articolazione. Sembra quasi di essere di fronte a una parodia di Ungaretti, anche se risulta meno credibile di Crozza che motteggia Feltri.
Per Arminio, a quanto pare, tutto è sacro, lo sguardo imperscrutabile di Dio, le MILF e i siti porno, gli scontrini battuti da una cassiera svogliata dell’Eurospin, le capre, le pecore, i morti, i vivi, i due coglioni così che fa ai lettori. Si presume anche i contratti editoriali e la falsa poesia.
“Sacra la madre dei cinghiali/ e la tenerezza con cui vanno in giro/ i suoi cuccioli, ora in cerchio, ora in fila”, dice lui. Sì, va bene, tanto vale scrivere “Sacro è il sugo che fa mia zia/ dopo che il marito è tornato dalla caccia/ e, sparando a una beccaccia, è riuscito a colpire un cinghiale”.
Se il tentativo era quello di dire la meraviglia e la commozione dell’ordinario, di uno sguardo ingenuo e insieme appassionato, il poeta ha miseramente fallito. Nominare ciò che scuote il cuore, non equivale a descriverne versificando il rapimento (“Sacro è toccare/ la vena calda del tuo collo”).
Queste liriche hanno la stessa valenza di quelle degli Instagram Poets, quindi di tutti i culi postati sul famoso social network, ognuno identico all’altro e privo di caratteristiche distintive, oramai eccitanti come la carta da parati. Davvero il poeta di Bisaccia si contende il podio dell’orrido con Giorgia Soleri. A paragone, Guido Catalano è presentabile.
Ci mancava solo – anzi, non poteva mancare! – la paraculata pro migranti: “Sacro è costruire una casa/ e prevedere la camera/ dei profughi”. Insomma, sacro è fare poesia piddina, quindi trasporre il buonismo un tanto al chilo dalla politica alla poesia.
Sacro, per chi ancora non l’avesse capito, è andare dal libraio e recitargli i seguenti versi “Sacro è capire che i miei soldi sono lavorati/ e non rubati./ Rendimeli, prima che il libro di Arminio te lo faccia ingoiare”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
Purtroppo ormai pubblicare con Einaudi non significa più avere un supporto culturale di alto livello. Sforna volumetti da cestinare , mentre il grosso pubblico, non consapevole che la vera poesia è ben altro, inserisce “mi piace” a decine. L’intervento di Matteo Fais è pregevole e da condividere, ma vorticosamente mi sovviene una frase di Napoleone : “Parlate anche male di me purché si parli!” … e Franco Arminio si alimenta con gioia di ogni scritto.