I DELIRI DEGLI ANTIAMERICANI (di Davide Cavaliere)
“L’America ha la rabbia” (J.-P. Sartre)
Un’informe certezza, espressa in modo più o meno articolato, accomuna gli estremi dello spettro politico: l’odio per gli Stati Uniti e per l’ordine liberaldemocratico e mercantile che garantiscono. Appena si nomina la Mother of Exiles, subito compaiono i suoi più incalliti e ringhianti nemici. Ad avere la rabbia non è l’America, ma gli anti-americani. I nemici degli Stati Uniti, siano essi di estrema sinistra o estrema destra, non avversano un particolare aspetto della società americana. Per loro quest’ultima è l’incarnazione di una male assoluto, di un’ingiustizia fondamentale dal sentore metafisico e mefitico. Non c’è che un american way of death.
Di recente, almeno da un anno, i più accaniti rivali del “modello americano” sono quelli che, superficialmente, chiameremo “estremisti di destra”, ovvero i seguaci più o meno inconsapevoli di Alain de Benoist degenerati in parodie della parodie note come Aleksander Dugin. In fondo, questi individui che hanno fatto dell’americanofobia una stella polare, cosa odiano dell’America?
Nella loro requisitoria, che risente moltissimo della vecchia propaganda contro la “plutocrazia”, gli Stati Uniti sarebbero un volgare regno della quantità, un’oscenità commerciale, che in virtù della sua bassezza si estenderebbe, come una cappa uniforme, a tutti i popoli e a tutte le culture, riducendo così la pluralità umana all’uniformità consumista. Le élites americane, via via identificate nei “neocon”, nella finanza o nella cricca “liberal”, condurrebbero una guerra permanente e segreta contro le “anime” dei popoli per meglio subordinarli.
Si tratta di una visione paranoica, non di rado alimentata da letture parziali e ideologiche della storia americana, che cela un vero e proprio terrore nei confronti della società aperta e pluralista, ritenuta colpevole di cancellare le residue identità nazionali. La grammatica identitaria è incentrata sull’imperativo morale di “restare sé stessi”, guardandosi bene dallo esplicitare in cosa consisterebbe questo “sé stessi”. Ne consegue una ipostatizzazione di ciò che si ritiene identitariamente “originale”, che a sua volta produce la celebrazione totalitaria di una “comunità” da mantenere pura.
Mentre decantano il pluralismo delle nazioni, gli anti-americani rifiutano l’eterogeneità nel corpo nazionale poiché metterebbe in pericolo la sua unicità. Questa difesa delle identità culturali e del “diritto alla differenza”, paradossalmente, accomuna i neonazionalisti a certi teorici dell’antirazzismo militante e del relativismo. Quelli che, oggi, in alcune università anglosassoni, promuovono classi e corsi per soli neri o musulmani, dove si studiano solo autori neri e musulmani, intimoriti dall’idea che il contatto con la filosofia greca o la storia cristiana possa corrompere l’identità “originale” degli immigrati, come gli identitari di destra si pongono in contrasto con l’individualismo e il liberalismo.
Per lo stesso motivo odiano il libero mercato: mette in contatto, pacificamente, i popoli, spingendoli a cooperare per mezzo della ricerca del benessere materiale; così come odiano la lingua inglese, magnifico dono della “perfida” Albione, che ci fa sentire tutti at home.
L’America è esecrata tanto dai suoi attivisti di Black Lives Matter quanto dai nostri “identitari” perché propone un modello che si sforza di vedere solo individui, che si oppone agli indurimenti comunitari che cacciano l’idea di singolarità, che per primo ha pensato anche l’appartenenza culturale come diritto individuale contro le sostanzializzazioni del collettivo.
Attraverso l’antiamericanismo si esprime il mortifero desiderio di voler vivere sottomessi a una comunità organica o al dittatore chiamato a incarnarla, protetti entro un sistema repressivo che schiacci ogni pensiero che non coincida con le proprie idee o con una presunta “essenza culturale”. Un sogno che alberga in molti di coloro che, quotidianamente, usufruiscono dei vantaggi della democrazia. Compreso quello di poter criticare, senza timori, questo articolo.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.