PACIFISTI E COLLABORAZIONISTI (di Davide Cavaliere)
A un anno esatto dall’invasione dell’Ucraina lo si può tranquillamente dire: la Russia non ha vinto. Certo non ha nemmeno perso, dato che continua a occupare i territori del Donbas e la Crimea, ma Putin è stato sconfitto ovunque abbia dovuto fare i conti con il valore degli ucraini e con le armi americane.
Il piccolo čekista, con la sua brutale aggressione, con le sue minacce, con i suoi modi da gangster, con i suoi macellai ceceni e buriati, non ha intimorito né il popolo ucraino né il «decadente» Occidente. Anzi, un certo terrore inizia a diffondersi dentro le mura del Cremlino, il cui ventennale fittaiolo è sempre più isolato, claudicante, isterico.
Le armate russe si sono arenate a Bakhmut. Putin vorrebbe di più, ma il suo esercito arranca e fatica, nonostante continui a essere latore di morte e devastazione.
I dissociati dalla realtà che raccontano un Putin trionfante come Napoleone ad Austerlitz sono sempre meno, sebbene il trasversale partito della pace, ossia di coloro che hanno paura, che va da destra a sinistra e dall’estrema sinistra all’estrema destra, sia pronto a tutti i compromessi e a ogni disonore pur di avere di nuovo un po’ di metano a prezzo stracciato – nel frattempo, ancora nessuna traccia dell’apocalisse energetica.
Merita soprattutto di essere analizzato il risorto «pacifismo di destra», fenomeno sorto nel secolo scorso, più precisamente nel 1935, con il «Manifeste des intellectuels français pour la défense de l’Occident et la paix en Europe», redatto da Henri Massis con l’obiettivo di sostenere l’Italia fascista e la sua impresa coloniale in Etiopia.
La destra radicale soffre da sempre di schizofrenia: esalta la guerra e il grande carosello fallico che questa dovrebbe rappresentare e poi scrive appelli per la pace; legge «La commedia di Charleroi» ma menziona la Costituzione repubblicana; tuona contro il materialismo ma parla solo di gasdotti; odia gli ebrei e si preoccupa dei «nazisti» ucraini. A ben vedere, pacifismo e bellicismo sono entrambe due forme di sottomissione alla forza. Nel primo caso si tratta di una fascinazione per l’aggressore che induce al collaborazionismo, una genuflessione morbida a una brutalità che attrae ma al tempo stesso atterrisce, mentre nel secondo siamo in presenza di una gioiosa condiscendenza alle ragioni della guerra pensata come «necessaria».
In generale, che siano di destra o di sinistra, seguaci di Vauro o di Bianchi, i pacifisti sono animali fradici di paura, tremanti di fronte a questo spettrale ritorno del lato oscuro del XX secolo. La pace a ogni costo è l’ultimo rifugio di coloro che vorrebbero vedere Putin, che ammirano e temono, trionfante sulle macerie dell’ordine liberale.
La Russia non ha vinto, dicevamo, l’Ucraina combatte, ma non si hanno comunque buoni motivi per stare tranquilli. Si deve, nonostante le vittorie di Kyiv, Kharkiv, Lyman, Mykolaiv, Kherson, sempre guardarsi da quest’uomo stanco del suo potere e atterrito dalla sua propria morte.
A un anno di distanza, avendo avuto ragione dei catastrofisti e dei putinisti sfegatati, meglio esprimere ancora la propria ammirazione a un popolo, e al Presidente che lo guida, che non vuole vivere in catene né ridursi a vassallo di Mosca e della sua cleptocrazia.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.