CI MANCAVA SOLO LA PARANOIA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE – TRANQUILLI, IL LIBERO ARBITRIO NON MORIRÀ (di Davide Cavaliere)
In un racconto intitolato In periferia, lo scrittore Vasilij Grossman fa esprimere a un suo protagonista le seguenti considerazioni: «Non fa paura l’uguaglianza fra uomo e macchina. A far paura è l’uomo, non la macchina. È la paura inconscia dell’uomo verso l’uomo; non è la macchina, ma l’uomo stesso a minacciare il suo prossimo […] Si ha paura che l’uguaglianza con la macchina renda l’uomo impotente nella lotta per la libertà, eterno schiavo non delle macchine ma degli uomini».
Citazione lunga, ma necessaria in questo tempo che continua a stupirsi – e a spaventarsi – delle intelligenze artificiali. A fare paura non dovrebbe essere né l’intelligenza né la sua artificialità, bensì l’umanità a cui si accosta. «Umanità», infatti, non significa fratellanza o bontà, ma soprattutto violenza e sterminio. Il rischio, a dire il vero assai remoto, riguarda la possibilità che la macchina accentui la nostra (dis)umanità in modi finora impensati, producendo nuove forme di oppressione e schiavitù.
Il problema, dunque, rimane l’uomo e non le AI, che sono ancora prive di capacità autonome. Queste si nutrono di enormi quantità di dati, che elaborano fino a generarli autonomamente, ma quelli di base da cui attingono sono comunque prodotti dagli uomini. Quello che la macchina «inventa» è limitato da ciò che l’umano ha già creato e dalla qualità delle domande che le vengono poste.
Per farla breve: Terminator non è dietro l’angolo e, se proprio dobbiamo temere qualcosa, allora dovremmo preoccuparci della trasformazione dell’uomo in calcolatore elettronico. Viviamo, infatti, in un mondo dominato dalle macchine digitali e, quindi, orientato solo sul finito, poiché nessuna macchina può funzionare se non con insiemi di numeri finiti, seppur enormi. Stupiti, come già ai tempi della rivoluzione scientifica, dai successi delle nostre macchine, in tanti ambiti, a partire da quello delle neuroscienze, si è cominciato a pensare all’uomo come a un complesso computer. La ragione umana è stata ridotta a logica formale e la personalità a un insieme di dati, ignorando o tacciando di irrazionalismo tutti quei bisogni non calcolabili: la sete di libertà o la percezione della trascendenza.
Nulla di nuovo, il monismo materialista ha lontani antecedenti, dalle teorie settecentesche dell’uomo-macchina di La Mettrie alla medicina materialista di Cabanis. Il sogno di una «mappatura» della natura umana, a cui si accompagna sempre la volontà di manipolarla con tecniche altrettanto «scientifiche», è destinato a rimanere tale, nonostante i tanti venditori di fumo che credono di poter negare il libero arbitrio con un manuale di neurologia. Il tentativo di realizzare delle macchine capaci di comportarsi come un essere umano ha avuto straordinari effetti sullo sviluppo della tecnologia, ma voler dimostrare che l’uomo è solo una macchina complessa, un grande elaboratore di dati, è un’impresa rischiosa più di qualunque, presunta, AI «vivente».
Modificare l’uomo, costringendolo a comportarsi sempre più con forme simili a quelle delle macchine, che si pretende ne siano l’immagine più realistica, sembra essere il compito che si è dato il nostro sistema tecnico-economico. Ci stiamo adattando alle modalità di funzionamento dei nostri apparecchi. Abituarci a considerare normale, anzi, «scientificamente fondata», la nostra somiglianza con certi meccanismi tecnici significa uccidere in noi quello che, il già citato Vasilij Grossman, chiamava «l’umano nell’uomo».
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.