NO ALLA PROPAGANDA PRO E CONTRO IL MATRIMONIO (di Clara Carluccio)
L’esistenza terrena è un passatempo, per lo più, senza senso e senza certezze. Per questo, cerchiamo consolazione e stabilità dove possiamo. La famiglia è uno di questi approdi.
È l’impronta più profonda che può compattare, o frammentare, la terra vergine che siamo in principio, determinando solide fondamenta o trasformandosi in sabbia da sotterramento. È come indossare l’abito talare: se non è scelto con sincera devozione – e predisposizione caratteriale -, è vissuto come un’insopportabile rinuncia. Sfocia, nel tempo, verso la frustrazione del sentirsi murati nella vita sbagliata.
Se ci sposiamo anche noi perché “lo fanno tutti”, perché “ho superato i trent’anni”, perché “non voglio morire solo”, sarà lo stesso. Tutto questo conduce in un incubo che coinvolge noi stessi e, per estensione, figli e coniugi.
Parallelamente stiamo assistendo a una costante incriminazione della vita congiunta, esaltando unicamente i vantaggi dello stato di single, il famoso “Voglio la mia libertà, la mia gioia, la mia indipendenza”. Ma chi diavolo ha detto a questa gente che, il matrimonio, ai giorni nostri, è schiavitù e disperazione? Discorsi che sembrano fare capo a un passato in cui, le donne soprattutto, avevano tanti motivi per essere infelici della propria condizione. Non a caso, quando e ovunque è stata data loro l’opportunità, hanno votato in massa per la legalizzazione del divorzio. Coloro che hanno vissuto la famiglia tradizionale, così come la decantano e la sognano in molti oggi, al momento opportuno, hanno manifestato tutto il rancore possibile contro di essa – e hanno mandato le figlie a studiare, di modo che non fossero costrette a sposarsi. Attenzione: non che per l’uomo fosse meglio. Immaginate portare all’altare una spaventata anche dalla semplice idea del sesso, con cui non siete sicuri di sviluppare un’intesa tra le lenzuola. Invero, spesso, uomini e donne erano mestissimi entro le maglie d’acciaio della struttura tradizionale.
Certo, a fare figli con la persona sbagliata, c’è molto di cui piangere ma, a questo punto, è chiaro che il problema non è lo stato civile in sé, ma la compagnia che si è raccattata pur di compiere il grande passo o l’insano gesto.
Comunque la si pensi sul matrimonio, non ha importanza – per quanto faccia sorridere il fatto che chi lo elogia, fino a volerlo imporre, spesso non abbia una famiglia. Il pericolo è nell’imposizione esterna di un modello comportamentale non affine alla natura individuale, sia questa monogamica o poligamica.
Dalla tassa sul celibato all’idea del matrimonio forzato, entrambe queste modalità indirizzano il comportamento privato sul modello dominante del periodo. Il conformismo sociale non può che condurre a esiti drammatici, prima personali poi collettivi.
I tempi possono cambiare e, con essi, anche i valori, le abitudini. Ciò che è profondamente sbagliato è la costrizione e/o l’ingiunzione propagandistica da parte dello Stato o dei mass media.
La società stessa è già impregnata di regole – in tal caso – doverose, per elevare l’essere umano dallo stato brado a quello più civilizzato. L’eccessivo accumularsi di queste, però, si risolve in una tortura: stare seduti a scuola per ore, studiare materie che non interessano e che dimenticheremo, fare la dichiarazione dei redditi per essere tassati, chiedere il permesso per apportare modifiche insignificanti alla propria abitazione. Regole, anche, per quieto vivere, come pranzare con la suocera, fare i regali di Natale, non parlare di…
Con molti aspetti costrittivi si può venire a patti ma, vedersi derubare della sola vita più autentica e conforme a noi stessi che potevamo costruirci, è la via diretta per il tormento eterno. Condannando noi stessi, finanche, a turbe mentali e malattie psicosomatiche.
Il mondo non è un luogo perfettamente omologato, con miliardi di individui esclusivamente monogami o libertini. La natura individuale si può nascondere, ma non si può alterare. Non serve, quindi, un’estenuante propaganda a favore del matrimonio o dell’indipendenza estrema. Come vediamo nella società svedese dove, le donne, ormai, fanno figli nella loro beata indipendenza, ficcandosi in figa una siringa con lo sperma di un ignoto donatore. Ma, se questo le rende più felici che mettersi in casa un estraneo che nemmeno amano o stimano, per poi disprezzare anche il modo in cui respira, meglio che proseguano su questa via.
La famiglia può davvero essere la nostra certezza in terra. Purché sia una libera e consapevole decisione del singolo.
Clara Carluccio
L’AUTRICE
Clara Carluccio nasce a Milano, nel 1985, e risiede attualmente in provincia di Brescia. Per errore di gioventù studia alla scuola agraria del quartiere Comasina di Milano, incidentalmente ubicata in prossimità dell’istituto Paolo Pini, il manicomio in cui venne rinchiusa la poetessa Alda Merini. Dopodiché, decide di perfezionare la sua conoscenza del mondo tra lavori precari e umilianti della peggior specie. Si trova così a svolgere mansioni quali: Oss in una RSA, segretaria, barista, guardarobiera in discoteca non guardata da nessuno, cameriera ai piani, cuoca incapace in un centro disabili, domestica – non dite colf – in nero e banconiera al supermarket declassata poi al semplice ruolo di scaffalista inutile al mondo e a se stessa – il tutto con un contratto da stagista. Suo malgrado, colleziona infruttuosi corsi di cucito, danza quale tribal fusion e contemporanea, naturopatia. È appassionata di lingue straniere, in particolare inglese e portoghese. È approdata a “Il Detonatore” dopo vari messaggi di stalking rivolti all’indirizzo di Matteo Fais. La trovate su Facebook e Instagram, ma non riesce a postare i suoi link.
Telefono: +393516990430
Email: claravirgola@gmail.com
Ottimo articolo; non condivido la chiusa sulla maternità da single (o da lesbica, che è lo stesso): l’auspicio – espresso come “male minore” – è pur sempre in ottica adultocentrica.
In internet si possono reperire dei video su ragazze americane che tengono conferenze in cui esprimono tutto il loro rancore verso madri che le hanno private della figura paterna.
In effetti, se ci concentriamo sulla premeditazione del far nascere un bambino orfano del padre biologico, ci rendiamo conto della deriva egoistica. La tutela del legislatore dovrebbe volgersi verso coloro che non hanno voce, non verso le adulte (solo perché queste votano…).