IL NULLA – DAI SOCIAL ALLA TELEVISIONE (di Matteo Fais)
Primo Levi che raccontava di Auschwitz aveva un tono fermo, glaciale. Guardava in faccia il dolore e l’orrore, soffriva da uomo. La Ferragni il patimento non sa neppure cosa sia. Non lo comprenderebbe neanche se la percuotesse un ufficiale nazista furioso, col calcio del suo fucile. Infatti lei non piange, piagnucola con voce strozzata e strozzante. Chi conosce la vera sofferenza ha una dignità, nasconde le ferite, non le posta su Instagram, non parla come una ragazzina a cui la madre ha negato un paio di jeans di marca.
Quanta insopportabile e stucchevole retorica! La smorfia delle labbra come se avesse avuto merda sotto il naso. L’odore dell’Ariston non deve essere dei migliori, in effetti: fiori in decomposizione e tanto marcio.
Che triste mossa presentarsi con un sacco di juta glitterato per sembrare seria – per esser tali, non bisogna mai volerlo dimostrare! Niente reggiseno – ma perché? – e le punturine di zanzara in bella mostra – quanto manca la zozza farfalla di Belen, l’unica donna con il coraggio di essere un magnifico involucro vuoto, felice nella sua hegeliana consapevolezza che “non c’è niente di più profondo di ciò che sta in superficie”.
Ma lei è Chiara Ferragni, dunque non mostra la fica, si limita a titillare il suo gigantesco ego clitorideo, con una lettera a sé stessa da piccola. Ricorda il signore che, al manicomio, gridava “Io sono Napoleone” – solo che Chiara c’è riuscita e ha convinto gli italiani di essere anche meglio del generale francese. Insomma, i veri pazzi siete voi, non lei.
La sua strenua e caparbia fierezza, mentre legge – cazzo, non ha neppure imparato il discorso a memoria! -, è commovente come un boccetta di lassativo che fa il suo effetto: “Ti sentirai in colpa ad avere altri sogni, oltre la famiglia perché la nostra società ci ha insegnato che quando diventi madre, sei solo una mamma. Quante volte la società ti fa sentire in colpa perchè le donne stanno lontano dai figli? E quando lo stesso trattamento è riservato agli uomini? Quasi mai”. Una roba che, se ti ritrovi una moglie simile, le tappi la bocca col pane duro di un mese prima e poi le gridi “Stai lontana dai tuoi figli che li rincoglionisci quei poveri bambini”.
“Essere donna non è un limite”, precisa lei. Non lo contesta più nessuno da oltre cent’anni, eppure tutte le donne minori del nostro disgraziato Paese, quelle che si devono affidare al femminismo per nascondere la pochezza, ce lo ripetono continuamente, fino al rigonfiamento più incontenibile delle gonadi. Alla fine, uno le palle se le taglierebbe pure, se in cambio gli promettessero la fine dei sermoni misandrici a reti unificate.
In ultimo, Amadeus la incensa: “Il testo l’ha scritto lei”. A questo punto, speriamo che la prossima volta le assegnino almeno l’insegnante di sostegno. Anche se il problema vero restano sempre loro, gli italiani che la seguono.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.