OMICIDIO DI NUVOLENTO – SE NON FINISCE QUESTA GUERRA TRA I SESSI, ANDRÀ A FINIRE MALE (di Matteo Fais)
Ci sono cose che un essere umano sano di mente non può leggere. Eppure, è impossibile evitare. I social sono invasi dal delirio. Dopo che Raffaella Ragnoli, la casalinga di Nuvolento, ha ucciso il marito, a suo dire perché si sentiva minacciata da questo, sono esplose tutte le misandriche d’Italia – cioè il corrispettivo rovesciato dei maschilisti –, inneggiando al risveglio della donna, alla sua reazione finale al dominio maschile.
Da manicomio, c’è poco da dire! Il clima, genericamente, è infame. La guerra tra i sessi si inasprisce giorno dopo giorno e i network ingigantiscono, gettano impunemente benzina sul fuoco. Da un lato i giornali che descrivono il genere maschile come animato da istinti violenti, quando non proprio omicidi, verso quello opposto. Dall’altro, sprofondati in un delirio paranoide per cui quella con le donne non è una gioiosa e giocosa interazione dialettica, ma una guerra senza quartiere, maschi insicuri e incattiviti da ciò che si dice di ingiusto sul loro conto, delirano di tornare a una presunta società giusta – sostanzialmente, quella in cui alle donne non è concesso di aprire bocca.
Ovunque uno si giri, non c’è scampo, almeno su questo versante. Poi, chiaramente, fuori da queste bolle di disagio, la vita prosegue più o meno normale. Infatti, il problema è tutto lì, nelle casse di risonanza rappresentate dai social, in cui personaggi maschili e femminili, tossici e pericolosi, hanno modo di monetizzare o quantomeno di dare una patina ideologica a palesi problemi psichiatrici, dalla psicopatia alla sociopatia, passando per la paranoia.
Purtroppo, di elementi simili ce ne sono a bizzeffe e ognuno pompa il suo seguito di soggetti problematici animato dalla velleità del successo mediatico, alimentando sistematicamente odio e sospetto. Nella narrazione di certe influencer femministe, che hanno fatto della schwa il proprio centro di gravità, ogni affermazione, gesto o pensiero maschile sottenderebbe una malcelata volontà prevaricatrice e predatoria nei confronti della donna. Sull’altro versante, c’è gente che, se non arriva a inneggiare allo stupro e alla rivolta del maschio involontariamente celibe, trova circonlocuzioni agghiaccianti per sdoganare aberrazioni simili.
La situazione è oramai sfuggita di mano. Non siamo più nell’ordine di frecciatine, o battute scorrette, da ambo i lati, ma proprio di apologie della violenza. Certe idee, purtroppo, sono insidiose e armano ideologicamente la mano di chi non cerca se non una scusa per agire. In un mondo normale, se tuo marito è uno stronzo, ti separi, non lo accoltelli; e, se vedi il tuo amico felice con la ragazza, mentre tu sei vergine, te la prendi in culo e stai zitto, ti crogiuoli nella sfiga, certo non pensi di torturare la coppia, come voleva fare un giovane, Antonio De Marco, qualche anno fa.
Avanti così, è sicuro, andrà a finire male. Del resto, non ci vuole mica un esercito per compiere una colossale stronzata. Di pazzi ce ne sono tanti in giro, o meglio, sui social. Perché è da lì che partirà la follia, quando sarà giunto il momento. Fermiamoci, finché siamo ancora in tempo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.
Tutti questi tizi e tizie devono capire che la vita non è e non sarà mai una favola alla mulino bianco. Il fatto che almeno non sia completamente un incubo ( qualche volta) ci deve bastare, altrimenti non se ne esce.