RATZINGER, TRA AFFERMAZIONE IDENTITARIA E TOLLERANZA (di Davide Cavaliere)
Il pontificato di Benedetto XVI si è caratterizzato per il tentativo di proseguire e rafforzare il dialogo interreligioso con l’ebraismo. Questo tentativo trova l’espressione massima del suo spirito nella dichiarazione Nostra Aetate, il documento del Concilio Vaticano II sui rapporti con le religioni non cristiane.
Il problema del dialogo con l’altro, che ha segnato gli ultimi decenni, va ben oltre il tema delle relazioni ebraico-cristiane, e si trova davanti tutta una serie di ostacoli, primo fra tutti quello relativo alla conciliazione tra l’affermazione della propria identità e la tolleranza dell’altro da sé. Col tempo, abbiamo assistito al dispiegarsi del progetto multiculturalista e al suo catastrofico fallimento – sebbene ci sia ancora chi insiste nel riproporre le disastrose formule del relativismo radicale.
Se, come ben sappiamo, l’irrigidimento cadaverico delle identità è una delle cause principali del razzismo e delle intolleranze, risulta comunque di un’ingenuità senza pari credere che la conciliazione fra identità diverse potesse realizzarsi decretando a tavolino l’assoluta uguaglianza di tutte le culture, e il progetto di una società ripartita per quote etniche e religiose. In tal modo, si è ottenuto l’opposto di quel che si voleva: la cristallizzazione irriducibile delle diversità, anche attraverso lo sfruttamento dei meccanismi «riparatori» a vantaggio del proprio gruppo e la concorrenza tra «vittime» della storia.
Nel 1971, il grande antropologo Claude Lévi-Strauss tenne una conferenza su «Razza e cultura», richiesta dall’Unesco nel quadro di un piano di lotta contro il razzismo, suscitando, per la franchezza delle sue affermazioni, lo scandalo di alcuni benpensanti terzomondisti. Conviene rileggere alcune delle frasi conclusive di quella conferenza: «Se l’umanità non vuol rassegnarsi a diventare la consumatrice sterile dei soli valori che ha saputo creare nel passato, capace di dare alla luce soltanto opere bastarde, e invenzioni grossolane e puerili, dovrà reimparare che ogni vera creazione implica una certa sordità all’appello degli altri valori, la quale può giungere fino al loro rifiuto se non anche alla loro negazione. Perché non si può, allo stesso tempo, fondersi nel godimento dell’altro, identificarsi con lui e mantenersi diverso. Se è pienamente riuscita, la comunicazione integrale con l’altro condanna, a più o meno breve scadenza, l’originalità della sua e della mia creazione. Le grandi epoche creatrici furono quelle in cui la comunicazione era divenuta sufficiente affinché dei partner lontani si stimolassero, senza essere tuttavia così frequente e rapida da ridurre gli ostacoli indispensabili tra gli individui come tra i gruppi, al punto che scambi troppo facili parificassero e confondessero le loro diversità. […] Certo il ritorno al passato è impossibile, ma la via in cui gli uomini si sono oggi incamminati accumula tensioni tali che gli odii razziali offrono un ben povera immagine del regime di intolleranza esacerbata che rischia di istaurarsi domani, senza che neppure gli debbano servire di pretesto le differenze etniche. […] occorre capire che le cause sono molto più profonde di quelle semplicemente imputabili all’ignoranza e ai pregiudizi».
Dichiarando uguali tutte le identità culturali e che nessuna ha il diritto di affermare i propri valori, ma soltanto quello di difendere la sua assoluta intangibilità o «purezza», il relativismo multiculturale ha prodotto il contrario del suo obiettivo pacificatore: un regime di divisione, di autentico «comunitarismo» etnoculturale che è il terreno fertile di tutte le ostilità.
Ma cosa ha a che vedere tutto questo con il pontificato di Benedetto XVI? Moltissimo, se si pensa che le religioni, soprattutto quelle monoteiste, vengono accusate di essere all’origine di ogni irrigidimento identitario e accusate di generare intolleranza a causa dei loro dogmi. Papa Ratzinger è stato capace di avventurarsi su questo difficile terreno, senza trascurare di calarsi nei casi specifici: come ammettere che le altre fedi esprimano delle luci di verità, senza annacquare la convinzione nella verità superiore della propria?
Il celebre studioso André Chouraqui, in uno dei suoi testi, ricorda un midrash rabbinico su Mosé di straordinaria rilevanza: Mosé era il più eloquente fra gli ebrei. Un giorno, vide un egiziano che pregava le sue divinità: si infuriò, lo colpì e bruciò le sue statue. Allora Dio disse a Mosè: «Quest’uomo al di là della statua si rivolgeva a Me. Ho ascoltato la sua preghiera e la esaudirò. Quanto a te, per insegnarti a comprendere meglio la mia Torah e il senso della mia unità, affinché tu sia più riflessivo, d’ora in poi tu balbetterai».
Questa è la strada da battere: coltivare la «balbuzie» della tolleranza e della riflessività senza che questo significhi rinunciare alle proprie convinzioni e alla propria alterità. Il vero senso della parola «monoteismo» è quello di riconoscere il Dio che trascende tutte le manifestazioni della divinità.
Nel suo discorso tenuto nella sinagoga di Colonia nel 2005, Benedetto XVI ha sottolineato il difficile ma necessario equilibrio fra queste due tensioni – identità e tolleranza – osservando che occorre «fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto fra ebraismo e cristianesimo», senza peraltro «minimizzare o passare sotto silenzio le differenze». Si tratta di una sfida lanciata sia a coloro che sognano un’umanità unificata sotto il segno di un’improbabile armonia, sia agli sterili cultori delle radici.
Dopotutto, nessun «rinascimento» della cultura europea, oggi tremendamente fiaccata, è possibile attraverso il semplice recupero di forme e stili del passato, che apparirebbero sterili e morti. La possibilità di un nuovo rinascimento europeo non è una fantasia o un sogno, ma una possibilità reale, purché si coaguli attorno a un progetto capace di includere tutti gli elementi della storia passata d’Europa. Questo è stato il senso del dialogo interreligioso svolto da Benedetto XVI.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.