SULLE DONNE, LE SERIE TELEVISIVE RACCONTANO SOLO MENZOGNE (di Clara Carluccio)
Fiocchi rosa, fiocchi rosa ovunque. A sentire la narrazione motivazionale sembra che, al vertice di ogni piramide professionale, ci possa essere un irrefrenabile aumento della presenza femminile. Dopotutto, siamo nell’era del cambiamento. Da umili Cenerentole alla cassa del discount a manager, imprenditrici e dottoresse.
Con l’inizio della seconda serie di Lolita Lobosco riprendono gli slogan sulla donna che si è fatta da sola.
Storia di un’avvenente vicequestore – o questorA – barese, interpretata da Luisa Ranieri. La serie costituisce un calderone di retorica odierna sull’importanza di una realizzazione sia professionale che privata e l’espressione della propria sensualità senza strumentalizzazione maschile – appropriato, in tempo di sdoganamento della pornografia come “mestiere qualsiasi”.
“Libera e moderna” ci dimostra che si può primeggiare in un ambiente machoman anche con il tacco 12 (“per non mortificare la femminilità”), scrivono i giornali. Contrordine, dunque, i tacchi alti non sono più misogini.
La donna che spicca sul mondo maschile adagiata su calzature scomode è, in vero, una scena già vista dal 1986 nel film Top Gun, in cui Kelli McGillis si manifesta tickettando le sue décolleté davanti a una torma di aviatori dal sorrisetto barbogio.
Senza nulla togliere alla buona riuscita della serie, questa va comunque presa per quello che è: una finzione.
Ma, come sappiamo, è tramite l’industria culturale e dello svago che avviene il cambio di valori, stimolando l’emotività più che la ragione. Per questo, film, fiction, libri, canzonette e personaggi di spicco vari, non devono essere sottovalutati. “Tante donne, tante amiche, tante giovani mi scrivono sui social che si identificano con Lolita” dice la Ranieri. Ed ecco, come da copione, che il divario tra intrattenimento e realtà si annulla.
Anche il personaggio in questione cerca di demolire gli stereotipi con concetti già ampiamente condivisi e superati dando la percezione che ci sia una guerra da combattere: “non si nasce per essere solo madri e mogli” ribadisce l’attrice. Ma dai, questa non si era mai sentita! Soprattutto, in questi tempi in cui pensare di mettere su famiglia è visto addirittura come un ritorno al patriarcato.
Sfortunatamente per le Lolite in questione, la realtà lavorativa è ben più dura e la colpa non è da attribuire al maschilismo o all’arretratezza mentale. Per cominciare, conseguire un impiego con un contratto dignitoso è, già di per sé, un’utopia. C’è una nota catena di supermercati che è perennemente alla ricerca di personale perché propone solo umilianti stage mal pagati e sotto cooperative. Questo, sia ben chiaro, indipendentemente dal genere dei candidati. La sodomia contrattuale è generosamente distribuita tra maschi e femmine.
E che dire dei due anni di esperienza richiesti per lavorare in un negozio di intimo? Tra poco esigeranno la laurea anche per piegare dei calzini, ma vi intortano con la favola della donna manager.Chissà perché le femministe non hanno sostenuto moralmente le donne che non volevano vaccinarsi a forza. Chissà perché non hanno obiettato contro la perdita del lavoro delle loro sorelle. “Il corpo è mio e lo gestisco io”? Mica sempre, a quanto pare.
Benché un desiderio di avanzamento professionale sia legittimo, è impensabile puntare ai vertici mentre ci vengono negate le fondamenta per una vita dignitosa.
Ovvio che alcune ce la fanno a diventare Lolita Lobosco ma, data l’emergenza sociale, sarebbe più appropriato simpatizzare con Vivian, la donna di strada interpretata da Julia Roberts in Pretty Woman. Le inoculazioni forzate hanno reso il nostro corpo un manichino alla mercé della sperimentazione medica e la necessità lavorativa ci obbliga ad accettare contratti penosi. Diciamolo, altro che vicequestore, siamo le puttane dello Stato.
Clara Carluccio
L’autrice