PIÙ CHE AMAZON, IL VERO PROBLEMA È CHE NESSUNO ATTRIBUISCE VALORE AL LAVORO ALTRUI (di Matteo Fais)
In Italia, se parli con il padre di un cameriere, questo ti dirà immancabilmente che il figlio viene sfruttato. Praticamente, ogni italiano si sente tale. Però, poi, quando si va al ristorante, se ti presentano un conto da 80 euro per due coperti, pubblichi la foto dello scontrino sui social gridando allo scandalo, qualcosa di simile a “Assurdo, per antipasto, primo, secondo, caffè, dolce e amari, a me e a mia moglie, ci hanno chiesto 40 euro a testa”.
Capite il concetto? Qui si pretendono i diritti senza voler sborsare un euro. Nessuno che arrivi a comprendere come, per retribuire adeguatamente il dipendente, il cliente deve pagare bene il suo datore di lavoro. C’è persino chi è convinto che quegli 80 euro costituiscano interamente un guadagno da parte del ristoratore, come se questo non avesse spese tra affitto, corrente, acqua e materiali vari. Per non parlare delle tasse che gravano sul lavoro, per cui un dipendente ti costa il doppio di quel che concretamente gli dai in busta paga.
Ora che Amazon annuncia dei licenziamenti, poi, tutti a strapparsi i capelli, a tuonare contro la multinazionale. Sentite, allora, perché non acquistate di più? Se gli affari aumentano, invece di diminuire come sta accadendo, i lavoratori restano al loro posto. Il principio è palese: se nel locale entrano ogni giorno 300 persone, avrò bisogno di una certa quantità di personale ma, se i 300 clienti diventano 100, inevitabilmente, dovrò licenziarne alcuni dipendenti. Non potrebbe essere altrimenti. Non ci vuole una laurea in Economia per arrivarci.
Spiace che sia così, ma questa è una delle tante leggi del mercato. Certamente, è dura e terribile. Eppure, lì dove si è deciso di venir meno a una simile principio, non sembra che le masse abbiano goduto di un benessere diffuso.
Bisognerebbe anche cominciare a capire che il lavoro degli altri vale quanto il proprio. Se non si vuole essere sfruttati, non bisogna sfruttare. Se, invece, si pretende di avere il giubbotto a 10 euro dai cinesi, si sappia che questo non può essere prodotto senza che a un altro essere umano vengano negati i diritti che si reclamano per sé.
Tutto ciò dimostra come, molto più di frequente di quanto si possa credere, quasi nessuno ha davvero a cuore la tutela del mondo del lavoro, ma solo del propria piccola e miserabile esistenza, a cui tutti gli altri possono essere tranquillamente sacrificati. Altrimenti, statene certi, lo schifo di situazione che tanti vivono a livello occupazionale non si verificherebbe.
In una società normale, non basata sull’invidia sociale instillata dai comunisti, sono i lavoratori per primi a chiedere condizioni ottimali per il datore, così da non creare le condizioni per la tentazione allo sfruttamento. Al contrario, purtroppo, questi invocano ulteriori tasse e balzelli, senza capire che così facendo si stanno dando la zappa sui piedi da soli – meno guadagno, meno potrò darti, più ti sfrutterò. Ma vallo a spiegare a chi vive secondo il motto del “Lontano dal culo mio, ando piglia piglia”.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.