CONTRO IL LOGORIO DELLA LETTERATURA MODERNA, LEGGETE BURGESS CHE PARLA DI ALCOLISMO E SCRITTURA (di Matteo Fais)
Ogni critico letterario che si rispetti sa che non si dovrebbe mai scrivere una recensione dotata di vita propria sul piano letterario. O si fa una critica, o si parla di sé stessi – l’ideale, a ogni modo, è, in entrambi i casi, scrivere bene. Insomma, bisognerebbe evitare di usare il testo come un pre-testo per dire altro.
Tutto vero, tutto sacrosanto – e proprio perciò discutibile –, a meno che non siate degli scrittori con un curriculum strepitoso e non vi abbia chiamato Indro Montanelli in persona, proprio in ragione del vostro essere autori affermati, a collaborare al suo “Il Giornale”, come successo a Anthony Burgess, l’autore di Arancia Meccanica.
Era il 1978, quando ciò avvenne, e il sodalizio con il foglio di Via Negri andò avanti fino al 1981, quando l’inglese pensò bene di passare in Via Solferino, al “Corriere”, per essere pagato il triplo – non credete a certe balle: gli scrittori, come tutti, si accontentano di morire per la gloria, solo quando gli altri si rifiutano di riconoscergliela, in terra, col contante.
È in questa cornice che uscì, il 6 aprile del 1981, un sostanzioso articolo intitolato Il diavolo nella bottiglia (l’occhiello era “Alcolismo e letteratura”). Il testo è stato riproposto in un pregiato volumetto dalla De Piante Editore, da sempre avvezza a trasformare anche i pezzi di giornale che hanno segnato un’epoca, per quanto dannati alla consunzione quotidiana, in opere d’arte cuneiformi e numerate da destinare all’eternità.
Partendo da un libro, Drink di FitzGibbon, piaciuto solo in parte o più che altro non apprezzato per i suoi tanti difetti (“A voler essere scortesi, benché il libro contenga rivelazioni personali d’intrinseco interesse, si potrebbe dire qui che la materia non è sufficiente per fare un volume”), Burgess ne approfitta per discutere della relazione tra la scrittura e la bottiglia.
Decisamente l’autore inglese non fa mistificazioni e non idolatra la pozione alcolica – non è mica Bukowski –, ma neppure scaglia il fiasco contro il muro invocando il moralismo più ottuso. Troppa consuetudine con la sostanza, malgrado una precedente moglie morta di cirrosi epatica, per poter evitare di dire pane al pane e, soprattutto, vino al vino: “Scrittore io stesso, posso approvare la razionalizzazione che considera il bere come un piede di porco per forzare la facoltà creatrice. La sindrome di Jekyll e Hyde merita la dissertazione che egli ne fa. Un nuovo io, di una specie particolarmente ripugnante, emerge – come un diavolo – dalla bottiglia: «il vero io» fissa allora, inorridito, ma impotente, le rovine provocate dal devastante usurpatore”. Non c’è che dire, certe vecchie amanti sono proprio impossibili da denigrare, senza dare adosso anche a sé stessi!
A compendio, mai superfluo, anzi quasi un testo autonomo a sua volta, parallelo a quello di Burgess – anche lui se lo può permettere – un breve excursus, sempre sul tema alcol e scrittura, di Luigi Mascheroni, mirabile penna di “Il Giornale”. Chi già lo conosce potrà immaginare come le sue righe scendano frizzantine come un prosecco, ma spappolino i fegati alla stregua del più pernicioso tra i super alcolici.
Contro il logorio della vita moderna, dunque, dissipatevi amabilmente con un buon calice, mentre pregate Bacco di salvarvi, usando le parole di Anthony Burgess.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
La sobrietà non esclude la corruzione o l’ inettitudine,molti personaggi della cultura e dello sport sono stati grandi non grazie ai vizi ma nonostante questi. Lo ammise persino Maradona in un film intervista al regista kosturica.