I DUE IMMONDI LIBRI DI CONCITA DE GREGORIO E HARUKI MURAKAMI (di Matteo Fais)
Ogni mattina, quando un critico letterario si sveglia, se fa bene il suo lavoro – insomma, se non è un book influencer che i testi li sponsorizza, invece di leggerli –, sa che troverà almeno un libro di merda da stroncare. Negli ultimi giorni, poi, con l’approssimarsi del Natale, c’è veramente l’imbarazzo della scelta. Insomma è un po’ come lavorare al depuratore, lì dove confluiscono tutte le acque di scolo, o presso una gigantesca isola ecologica.
Tra i tanti immondi prodotti letterari che potrete trovare alla sezione novità – quasi sempre da evitare –, in libreria, due si distinguono particolarmente, anche perché scritti da persone con ruoli culturali di un certo spicco.
Il primo è certamente quello di Concita De Gregorio, Un’ultima cosa (Feltrinelli). Si tratta di una raccolta di monologhi pensati per il teatro, ma indegni anche di accompagnare il lettore al cesso, in cui la nota giornalista dà voce a una massa di donne, a suo avviso – ed è tutto suo – ingiustamente trascurate o messe da parte dalla Storia. Con la sua enfasi, tutta estrogena e vagamente invasata, l’ex DirettorA arriva a scrivere frasi per cui quelli di Feltrinelli, più che un buon editor, dovrebbero chiedere in sua vece il Bonus Psicologo e fornirle un supporto: “Non so nemmeno io quando ho iniziato a sentire le voci delle donne che parlano qui”.
Scherzi a parte, il problema della De Gregorio è non comprendere che l’esistenza di donne eccezionali – e, sicuramente, ce ne sono state e ce ne sono tantissime, donne che hanno realizzato l’impossibile senza alcun aiuto maschile –, non giustifica il suo indebito accomunarsi a queste e, meno che mai, l’arrogarsi il diritto di farsi loro portavoce. A riprova che la condivisione di un genere non sottende un destino comune, basti ricordare che lei, la prima donna a salire alla direzione del giornale fondato da Antonio Gramsci, “L’Unità”, è solo riuscita a farlo fallire miseramente. Banalmente, se esistono delle donne straordinarie, non basta essere una donna per risultare tale.
Tra parentesi, non si capisce come Super Concita, la paladina della giustizia rosa, possa scrivere “Tutte, certamente, volevano avere voce. Essere vendicate, direi, se questa parola non sembrasse aggressiva. Restituite al loro posto, forse suona meglio. Rinominate, nell’ascolto e nella cura”, soprattutto parlando di donne come la poetessa Amelia Rosselli a cui è dedicato nientemeno che un Meridiano della Mondadori; o Maria Lai, l’artista sarda da sempre omaggiata dalla sua terra. Quelle donne sono già nella storia, mentre, se Dio ci assiste, un giorno di Concita si perderà ogni traccia.
Il secondo impresentabile libro appena uscito è, invece, di Haruki Murakami e si intitola Le mie amate t-shirt (Einaudi). Il tema, manco a dirlo, è la passione dell’autore giapponese per il collezionismo di magliette dai più svariati disegni. Praticamente, la letteratura che degenera in pubblicazione Postalmarket, il famoso catalogo di tutte le brave casalinghe desiderose di acquistare da casa e di tutti i figli adolescenti che, per farsi una sega, si portavano il voluminoso malloppo al bagno, confidando nel supporto di una qualche modella in mutande e reggiseno. Spoiler per i già citati ragazzini con gli ormoni a mille: qui non ci sono foto di ragazze scollacciate, ma solo di inutili capi in cotone appesi a una gruccia.
Dice il famoso scrittore: “La cosa tremenda è che in tutti questi anni ne ho messe insieme tante da poterci scrivere addirittura un libro!”. In verità, la sola cosa aberrante è che un autore noto a livello mondiale si riduca a pubblicare un testo che ha meno dignità letteraria del catalogo di Tezenis. Ci manca che, per fare cassa, si apra un canale OnlyFans e venda le sue t-shirt slabbrate, proprio come le pornostar propongono le loro mutandine usate.
Ma Murakami, con una faccia da cazzo non indifferente, tenta anche di trovare una ratio essendi al suo testo e il risultato è degno del Conte Mascetti. Sentite qua: “Intendiamoci, non penso che un libro del genere possa servire a qualcosa o a qualcuno (tantomeno contribuire a risolvere i tanti problemi che dobbiamo affrontare attualmente), ma potrebbe avere un senso – per le generazioni future, riguardo agli usi e costumi delle epoche passate – sapere che dalla seconda metà di un certo secolo alla prima metà di quello seguente un certo scrittore ha condotto una vita piú o meno rilassata indossando ogni giorno indumenti molto semplici”. Ci capiamo? Questo vorrebbe passare alla storia per ciò che indossa, invece che per quel che scrive. Penoso!
Ma, per comprendere la vera inutilità e tristezza di questo testo, basterà arrivare alla parte in cui lui confessa di collezionare magliette con i marchi del whisky: “Se mi piace il whisky? A essere sincero sí, eccome! Non che io abbia l’abitudine di berne ogni giorno, intendiamoci, ma con l’atmosfera giusta, un bicchiere mi fa piacere”. In due righe, Murakami ha ucciso tutti i poveri lettori cresciuti con la fascinazione per autori quali Bukowski, Thompson, Hemingway, in cui l’arte della scrittura è sempre stata inscindibilmente legata a un pesante consumo di alcol.
Date retta, i vostri soldi, invece di lasciarli in libreria, per comprare questi due fenomeni, sputtanateveli al bar.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.