Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

TRA FIORI URLANTI E STRATEGIE, MANUEL AGNELLI SI CONFERMA L’ULTIMO VERO GRANDE POETA DI UNA GENERAZIONE (di Matteo Fais)

C’è qualcosa nella sua voce che raschia il fondo del cuore e del sentimento. Lo fa con un’armonia in bilico sulla dissonanza. Perfino nelle canzoni meno impattanti – e sono più di una –, c’è una dolorosità che sa far deliziosamente male, rendere inerti, spinge a crollare con abbandono verso un fondale che non si vede. Mancano le immagini di violentissima forza del passato, ma nessuno canta l’amore, la sua terribile impossibilità, in quel modo, con quelle parole che dicono fuori dai denti senza mai rinunciare alla fuga poetica.

Manuel Agnelli è certamente uno dei più grandi poeti a cavallo del secolo, la prima bomba atomica a gridare l’atrocità del nuovo millennio. È stato bello ascoltarlo con gli Afterhours, ma anche adesso, con questo suo nuovo Ama il prossimo tuo come te stesso, vale la pena di sedersi sul divano, ansimare, disporsi a sentire riemergere vecchi fantasmi, traumi di vita di giorni sempre troppo vicini.

L’ultimo disco di Manuel Agnelli, ex frontman degli afterhours, Ama il prossimo tuo come te stesso.

Un poeta dovrebbe fare ogni volta così, cantare il suo tempo, come fa lui in Milano con la peste, in cui il sentimento trova l’ennesimo ulteriore problema nel virus che incombe sulla città della Madonnina, esasperando la distanza, costringendo al semplice ricordo, alla sua claustrofobica prigione. Il tutto mentre la gente intorno è solo una spettrale presenza, la negazione di ogni possibile vicinanza (“Solo ora vedo gli occhi di chi resta/ Mascherati da bambini comе ieri/ Mascherati sembran finalmente veri”).

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E così è per il conflitto che ci assilla a est della nostra coscienza europea, che convive sempre con il sommovimento interiore del singolo, in quel punto in cui la nostra anima si connette con il mondo ricordandoci che l’invivibile non è solo dentro ma ovunque (“Ho visto della gente/ Alla televisione/ Parlare della guerra/ Parlano di me/ Che devo stare calmo (Che devo stare calmo)/ Che è la virtù dei forti (È la virtù dei forti)/ La calma io l’ho vista/ Non respira più”).

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Ma il cantante milanese è soprattutto il solo a saper dare voce all’anima di queste ultime generazioni per cui “Che noi cresciamo è una bellissima bugia. Lo fa al piano, accarezzando i tasti, muovendo sull’ascoltatore un inesorabile ingranaggio di lame, in Tra mille anni mille anni fa, un pezzo che ha sapore di incompiuto, di relazione finita troppo presto, di resa dei conti senza soluzione. “Io ti riconoscerò/ Fra mille anni mille anni fa” dice l’oscura consapevolezza che in ogni relazione sente una reminescenza e un qualcosa che diventerà troppo in fretta passato.

E come non adorarlo per quella sua tragica consapevolezza, quando intona con sommessa commozione che “Farsi del male è splendido/ Perché esser vivi è splendido. Se abbiamo cercato tanto, tra mille amori, ogni volta sapendo di non farcela, era perché il male è diventato il nostro vizio assurdo, quello che ci fa comunque sentire di essere. Perché è meglio trovare il dolore, alla fine della del piacere, del nulla.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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