IL SOVRANISMO ALIMENTARE, PIÙ CHE AUTARCHIA, È TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO (di Matteo Fais)
Uno dei privilegi più dolci al palato, non avendoli votati, è la possibilità di criticarli sempre e comunque. Ed evitare la cabina elettorale – ciò diventa ogni giorno più chiaro – era giustamente dipeso dal fatto che questi qui del Governo in carica, persino per un vero reazionario, si erano già manifestati come dei grandissimi venditori di fuffa aromatizzata al sovranismo.
La Meloni e tutta la corte al seguito, poco ma sicuro, non sono fascisti e, se lo fossero, lo sarebbero come il vino in bustina da sciogliere nell’acqua, come il Tavernello al cospetto del Nepente di Oliena tanto amato da D’Annunzio. Basti considerare la pietra dello scandalo di questi ultimi giorni, il sovranismo alimentare.
Nessuno ha capito di cosa si tratti realmente. Le definizioni sono vaghe e fumose, e la Nazione che ascolta fa finta di aver afferrato il concetto come la classe lascia credere al professore che, quanto da lui spiegato fino a quel momento, sia oramai chiaro a tutti.
A occhio e croce, questo sovranismo declinato secondo la tipica ricetta di mammà dovrebbe contemplare la difesa del prodotto locale, un po’ di ecologismo spicciolo, lotta agli allevamenti intensivi e alle multinazionali dell’alimentazione e blah, blah, blah. Sì, sì, tutto molto bello. Il problema è un altro: chi paga?
Perché, alla fine, la complicazione sta tutta qui: il prodotto di qualità costa e, in Italia, il grosso delle pensioni – meglio neppure parlare degli stipendi – non arriva a 1000 euro. Con che soldi verrà comprato il formaggio tipico sardo, quello del caseificio con venti operai? A proposito, ma quegli operai devono essere sardi, o immigrati sfruttati? No, perché, a questo punto, la questione assume dimensioni quasi ontologiche: è locale anche il prodotto tipico, fatto con materie del luogo, ma da gente che proviene dall’Africa, dalla Romania, e dall’Albania? Che tradizione tramanderebbero questi? Misteri della Fede e del sovranismo 2.0.
A ogni buon conto, meglio sottolineare che di produzioni nostrane ce ne sono già in grandissima abbondanza. Ogni paese dello Stivale ha il suo vino, il suo formaggio, il suo prosciutto, la sua pasta fresca e i suoi dolci. Nessuna multinazionale cattiva e predatrice vi vieta di comprarli. Però, signori, attenti che non esiste olio di produzione propria che si smerci a tre euro a bottiglia. Ci vogliono tra gli 8 e i 10 al litro – ipotizzando ovviamente di comprarlo al nero, perché altrimenti il prezzo raddoppia. Volete quell’olio? Benissimo, basta andare in una di quelle campagne fuori città, suonare da Zio Gino, quello con il cartello, scritto a vernice, che recita: “Arance, uva, lattuga e vino di produzione propria”. Attenti, però, perché Zio Gino non fa offerte nel weekend.
E, sempre se ne avete voglia, potete mettervi in contatto con la Signora Genoveffa – ce n’è più di una in ogni realtà regionale – che fa i ravioli in casa, su ordinazione. Anche in questo caso, è d’obbligo segnalarvi che la sua pasta non costa 30 centesimi al pacco.
Come avrete capito, insomma, ci sono già tutte le possibilità di questo mondo per un buon sovranismo alimentare. Basta avere i soldi.
Ma voi li avete? Perché la Meloni – che nome perfetto, sulla carta, per parlare di autarchia! – o vi aumenta lo stipendio e la pensione, o vi affama. Quando si va ad aprire il portafogli, la propaganda sta a zero. Senza dinero non si canta messa e non si acquista neppure un etto di buonissima salsiccia secca della zona del nuorese.
La PresidentA ci comunichi con quali soldi pensa di sostenere la sua maschia e virilissima idea di autonomia alimentare, perché fra poco è ora di pranzo e o sgancia gli sghei o qui siamo costretti a ripiegare sul solito al you can eat cinese a 12,90 euro – ah, tra parentesi, a cena è più caro.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81
Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14
Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Ma veramente dice questa? Perché non si fa fotografare in tenuta da verduraia mentre coltiva un orto in una villetta sull’ ardeatina come fece madam Obama a Washington DC? Io se voglio far quadrare i conti devo prendermi la roba in scadenza al 50%. Andasse a fare in culo lei e tutti i camerati.