COMPLOTTISTI E FACT-CHECKER: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA (di Davide Cavaliere)
Nel suo Science, Politics and Gnosticism, il grande pensatore della politica Eric Voegelin definisce la nozione di «pneumopatologia» come la «condizione di un pensatore che, nella sua rivolta contro il mondo così come è stato creato da Dio, omette arbitrariamente un elemento della realtà per creare la fantasia di un nuovo mondo». Per Voegelin una tale condizione è indicativa della brama di dominio, o libido dominandi, di un autore che cerca di sostituire la realtà politica hic et nunc, definita anche di «primo livello», con una realtà utopica di «secondo livello», che trasforma in incubi totalitari il potere delle azioni. Al momento, per via della diffusione massiva della comunicazione digitale, la suddetta «pneumopatologia», caratteristica del pensiero gnostico moderno, è all’opera nelle menti di un numero crescente di persone, che aderiscono alle moderne teorie del complotto, capaci di «reincantare» il mondo e fornire una spiegazione onnicomprensiva dello stato di cose presenti.
Il complottismo minaccia ed erode la convinzione di base seconda la quale abitiamo tutti la stessa realtà, aprendo una frattura nell’immaginario collettivo che, con estrema rapidità, diventa anche frattura politica. Sempre più spesso, l’uomo post-moderno abbandona la realtà e si ritira in mondi immaginari, creati attraverso un distorsione, più o meno consapevole, delle informazioni e alimentati da timori e pregiudizi. L’attuale «mercato delle idee» è un mosaico di piccole boutique radicalizzate, ognuna delle quali smercia la sua realtà di «secondo livello» e il suo marchio di paranoia.
I movimenti gnostico-totalitari di massa, definiti da Eric Voegelin come «religioni politiche», ritenevano che un particolare gruppo ristretto, ebrei o capitalisti, fossero al centro di macchinazioni subdole e pericolose contro le masse, il Volk e il Proletariato, oppure dirette contro l’umanità intera. I complottisti di ieri, non dissimilmente da quelli di oggi, sostituiscono alla complessità del reale la trasparente opacità del complotto, sempre svelato ma comunque segreto. La fabbricazione delle teorie del complotto ricorda la costruzione di quella che Voegelin chiama historia profana, ossia la connessione di frammenti storici attraverso nessi artificiali nel tentativo di sottrarre i fatti alla casualità e collocarli in un ordine teleologico.
Questo modo di pensare, cavilloso e inesorabile, non rappresenta una forma di distruzione della ragione, bensì una logica abbandonata a sé stessa, teoricamente coerente e funzionante, ma non-falsificabile ed empiricamente infondata. In una parola, ideologia. Un concetto che, sulla scia di Eric Voegelin, può essere definito come una dottrina che promette la salvezza temporale, sulla base di una forma di sapere, gnòsi per l’appunto, conforme all’ordine autentico delle cose.
In tutto l’Occidente si è registrato un aumento della letteratura che contrappone élites corrotte a masse candide, contraddistinta da una cospirazione a diagramma di flusso, che collega tutti o presunti centri del potere globale: dai mass media alle case farmaceutiche, dalle famiglie di banchieri ai famigerati neocon. L’archetipo di tutte le teorie del complotto sono I Protocolli dei Savi anziani di Sion, l’incunabolo confezionato a fini propagandistici dalla Okhrana, la polizia segreta dello Zar, alla fine dell’Ottocento. Essi contengono al loro interno tutti i principali tropi del cospirazionismo: un nemico onnipresente, un potere pervasivo, una brama di potere e la forza corruttrice del denaro.
Le «religioni politiche» imputano il male a una fonte terrena e onnipotente, una «diaboligarchia» che, non di rado, assume connotati satanici – basti pensare al celebre Pizzagate, diffuso tra i militanti dell’Alt-right statunitense. Tale gruppo ristretto dev’essere annientato affinché regni un secolare «paradiso in terra». Il male, nelle sue diverse declinazioni, tanto esistenziali quanto socio-economiche e politiche, non è più un mistero trascendente con il quale confrontarsi, un elemento ineliminabile della condizione umana, ma una questione immanente da affrontare politicamente.
Al complottismo segue, logicamente, un apocalittismo politico, una volontà di fare tabula rasa di un mondo reputato corrotto, corruttore e irrimediabilmente inquinato dal male. I complottisti descrivono chiunque o qualsiasi organizzazione che possa aver tratto vantaggio da un evento storico, solitamente tragico o catastrofico, come membri della grande macchinazione mondiale. Naturalmente, non si vuole affermare che alcuni individui o gruppi non possano trarre vantaggio da una crisi, ma invece di riconoscere questo fatto come inevitabile nella vita umana, la mente complottista vede una intenzionalità e una causa. La premessa secondo la quale nessun risultato è fortuito o involontario, ma sempre e solo il risultato di una pianificazione, trasforma l’attività d’interpretazione della realtà in una spiegazione sistematica. In altri termini: il rifiuto di conoscere le conseguenze non intenzionali come una possibilità riduce l’attività del filosofare a costruzione gnostica di sistemi, «che nella loro parzialità, pretendono comunque di comprendere la realtà nella sua interezza, senza contare poi il rifiuto degli stessi autori di metterne in discussione le premesse».
Bisogna, necessariamente, soffermarsi anche sulla mentalità dei cospirazionisti. Si tratta, in genere, di soggetti che utilizzano le teorie del complotto come strumenti, non solo per rendere chiari eventi oscuri, ma per ridurre la dissonanza cognitiva che sorge quando il corso degli eventi umani non collabora con le previsioni formulate da una determinata visione del mondo. Ancora Voegelin: «Piuttosto egli lavorerà d’immaginazione circondandosi di una realtà illusoria a conferma di se stesso e delle proprie pretese; egli creerà quel fenomeno chiamato seconda realtà a proteggerlo da quella che resta della prima realtà». Tra i cospirazionisti è all’opera quella che il filosofo tedesco chiama ragione doxastica, «una ragione che abbia come unico scopo l’eclissamento della non ancora deformata ragione esistenziale dell’uomo».
Ciò che separa i complottisti, che potrebbero anche essere definiti come immaginatori, l’uno dall’altro è meno importante di ciò che li accomuna. Come gli gnostici, i cospirazionisti di ogni genere tendono a mostrare una serie di «sintomi intellettuali». Nel già citato Science, Politics and Gnosticism, Eric Voegelin, per esempio, sottolinea che gli gnostici tendono a essere fondamentalmente insoddisfatti della loro situazione e dell’ordine politico vigente. Credono, inoltre, che la loro insoddisfazione «può essere attribuito al fatto che il mondo è intrinsecamente poco organizzato». Di qui la fascinazione per soluzioni radicali e finali, capaci di ribaltare il sistema socio-politico esistente.
Non sorprende nemmeno che coloro che mettono in dubbio il loro sapere e le loro nobili intenzioni, siano automaticamente etichettati come elementi dell’establishment o remunerati da esso. Come i membri di una setta, i complottisti tendono a osservare una rigida distinzione tra «credenti» e «infedeli», tra coloro che hanno avuto il coraggio di abbracciare la verità e coloro che ancora brancolano nel buio, soggetti che nel migliore dei casi vanno compatiti; nel peggiore costretti a conformarsi all’ideologia. Proprio come i marxisti, che accusavano gli avversari di essere preda di una «falsa coscienza».
L’errore fondamentale dei complottisti, così come dei loro nemici speculari, i fact-checker, consiste nella convinzione di possedere una «verità assoluta» sulla realtà o su un aspetto di essa, che viene «gnosticamente» immanentizzata. Ecco, allora, che l’agorà contemporanea diviene il territorio di scontro tra tedofori della «verità». Da un lato, dunque, cospirazionisti convinti di aver «svelato» fantomatici piani mondiali di dominio sulla base di una conoscenza «segreta» e «non-ufficiale»; dall’altro, scientisti e tecnocrati che propongono analisi e soluzioni dei problemi sociopolitici fondate su un sapere scientifico e tecnico. Due forme di gnosi egualmente, per usare un termine di Eric Voegelin, logofobiche, ossia intimorite dal logos, dalla ragione noetica. Il ricorso all’accusa di diffondere fake news o a tempeste di numeri e dati per fornire a specifiche politiche pubbliche un alone di scientificità, sono strumenti dittatoriali che tagliano sul nascere ogni discussione.
Ma è necessario considerare anche un altro aspetto del problema. Certi sofisti moderni, così come i cosiddetti «contro-informatori», si comportano come antichi gnostici. Se il mondo, il qui e ora, è una cloaca maxima di corruzione e propaganda, tale cloaca non può essere resa più sporca di quanto non lo sia già, quindi si ha il permesso morale di comportarsi in modo osceno, di raccontare la «nostra» verità, che è «vera» perché ritenuta tale. Anzi, siccome la loro prospettiva si pone «contro» gruppi che incarnerebbero il male, essi si sentono legittimati a raccontare menzogne. Ogni affermazione diventa così vera dato che la realtà oggettiva con cui dovrebbe confrontarsi è ritenuta intrinsecamente difettosa. Questo significa che non c’è modo di risolvere i dibattiti appellandosi alle prove. Il prevalere di un punto di vista è quindi una questione di appetibilità delle tesi, poiché non esiste un modo legittimo, razionale, di giudicare tra le prospettive.
Intorno al problema della verità, si può innestare un altro tema dominante degli scritti di Voegelin, ovvero la contrapposizione tra i concetti di ordine e disordine. Per disordine, il filosofo tedesco, non intende solo la violenza totalitaria, ma anche tutte quelle forme di pensiero che generano alienazione e caos, che sottendono una passiva accettazione di ciò che si presenta in forme subdole.
Ordine è, paradossalmente, ciò che non è prestabilito, ciò che genera stimolo ad abbandonare quello che definisce il «tedio dell’insensatezza», caratteristico di una modernità che ha smarrito la dimensione trascendente dell’esistenza e si affida capi carismatici, dottrine della salvezza, paracliti secolari di diversa natura, che sfruttano le aporie della condizione moderna per imporre «seconde realtà» e dottrine di autosalvazione. Nel disordine prospera lo gnosticismo, che rappresenta una fuga dalla realtà. Il complottismo, dunque, non è un inciampo mentale, ma un sintomo dell’assenza di ordine, tanto dell’anima quanto delle istituzioni, dunque un problema politico.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.