BREVE FILOSOFIA DEL CAMMINARE – CORPO, ECOLOGIA E ANTIMODERNITÀ (di Matteo Fais)
“Correre è quanto di più intimo c’è nella sua amicizia con Jack. Hank non sa dire perché. Forse ha a che fare con il ritmo dei loro piedi e del loro respiro. Ma c’è di più: si tratta, pensa Hank, di liberare la carne […] Il fatto è questo: anche facendo l’amore il corpo può diventare voyeur del suo stesso piacere. Ma nell’ostinato sforzo di correre, non c’è nulla che possa distrarre il corpo da se stesso” (Andre Dubus, Non abitiamo più qui, Mattioli 1885)
Accecato dalla rabbia verso la propaganda che cerca di fargli accettare il depauperamento totale della sua vita già abbastanza miserabile, l’uomo contemporaneo potrebbe essere indotto a scegliere lo sperpero e l’inquinamento come dimensione della rivolta antisistema. Egli sembra dire: “Se vogliono farmi credere che, anche facendomi una doccia, sto abusando di risorse preziose, da questo momento in poi non farò che sporcare e inquinare, accendere il climatizzatore in ogni momento e usare la macchina anche per il minimo spostamento”.
Tale posizione, per quanto infantile, potrebbe avere una sua ratio. Solo che ogni tanto bisogna mettere da parte la fastidiosa immagine della Gret(a)ina e di tutti gli ecologisti col jet privato, per tornare a questa nostra piccola e fantastica dimensione in cui la coscienza è intrappolata, il corpo.
L’animale metropolitano, oramai, ha completamente smarrito la dimensione del suo essere materiale. La carne esiste solo le rare volte – perché sono sempre meno frequenti – in cui si copula, o quando il bollettino medico presenta il conto, tra cisti, pustole, cancri e altre angoscianti entità dalla parvenza aliena che spesso neppure si manifestano, se non quando è troppo tardi per porvi rimedio e sovente solo perché un casuale controllo, a mezzo di macchinari quasi magici per l’uomo medio, ne ha rivelato la presenza.
Ritornare al corpo, data la situazione imperante, è forse l’unica via di resistenza esistenziale attiva all’inerzia, a questo dinamismo diffuso che si riduce mestamente a cadaverica immobilità. I muscoli hanno voglia di muoversi, essere messi sotto sforzo, portati allo stremo. Chiuso nel piccolo recinto cittadino, all’uomo non resta che camminare, macinare chilometri, riscoprire il sudore e la gioia della fatica, per perdersi e smarrismi, allenarsi alla fuga.
Sudo, mi sforzo, sperimento la stanchezza, dunque esisto e, se esisto, penso, penso camminando. Kant lo faceva ogni giorno e, sulla sua quotidiana uscita, i popolani si dice regolassero i suoi orologi. Hume era depresso e il medico gli aveva consigliato un bel bicchiere di vino dal colore scuro e l’effetto stordente, seguito da lunghe passeggiate. Insomma, non esiste filosofia, pensiero, senza peripato. Ogni grande opera è stata scritta su una scrivania, ma è sempre stata concepita sulla strada – e non sarebbe potuto essere altrimenti.
Si pensa, in fondo, con ogni parte del proprio corpo e il mondo ci si rivela proprio a mezzo di questo. Siamo sempre immersi in una contingenza che ha un odore, un sapore, che si oppone o ci accoglie nella sua concretezza.
Camminare è dunque una filosofia, un modus essendi, una scelta morale. Provate a recarvi a piedi lì dove si trova la fonte del piacere a cui volete abbeverarvi, per quanto lontano possa trovarsi, si tratti della donna che desiderate incontrare, o della spiaggia dove ogni sera si tiene lo spettacolo del vostro tramonto preferito. Sarà completamente diverso: ciò che sperimenterete, ve lo sarete guadagnato. Il mondo intorno a voi vuole sveltire tutto per rendervi produttivi e consumanti oltre ogni ragionevolezza, ma si oppone all’idea che possiate voler raggiungere un traguardo prendendovi tutto il tempo necessario per raggiungerlo.
Naturalmente, non dovete farlo con il fine di tenervi in salute. Come diceva Andreotti, “tutti i miei amici, che facevano ginnastica per vivere più a lungo, sono morti prima di me”. E già quel cinico bastardo di Mark Twain, ben prima, aveva sostenuto di camminare solo per seguire i funerali dei suoi compagni che credevano con l’attività fisica di sopravvivere alla morte.
Camminare è un fine, non un mezzo. Semplicemente, la vita si oppone alla staticità e il corpo lo sa. Attraverso i passi, sentiamo la sua lotta disperata contro la morte e questo tempo che ha dichiarato guerra a tutto ciò che è naturale.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Grazie, concordo in pieno. Dopo aver abbandonato la corsa agonistica ho buttato orologio e misuraore cardiaco per il cammino, o al massimo la corsa lenta, per assaporare la natura che mi circonda, i suoni e i colori, e sentire che sono parte di questa meravigliosa realtà…
Renata
p.s.: ti ho conosciuto attraverso Radio Libertà!