NON CAPISCO LE DONNE CONSERVATRICI (di Alex Vön Punk)
Noi inventiamo noi stessi come unità in questo mondo di immagini da noi stessi creato (Nietzsche).
Anno cosmico 2022, in un paesino del Centro Italia. Maria si prepara per uscire dal lavoro. È stanca, però, i prezzi di bollette e affitto aumentano insieme ai vizi. La moda costa e mantenere la bellezza di una Milf da urlo anche. Ma gli sguardi dei maschietti ripagano fatica e levatacce al mattino presto, e poi ci si guadagna l’indipendenza economica e la realizzazione personale nel campo professionale.
Sarebbe tutto perfetto, se non fosse che, pur godendo del frutto delle lotte contro le tradizioni e i cliché che la volevano imprigionata in casa, lei sia un’avversaria della modernità e del progresso, una conservatrice di ferro.
Le piace andare in discoteca, bere, uscire con le amiche, fare festa e godere della libertà che altre donne prima di lei le hanno servito su un piatto d’argento. Eppure, come la maggior parte di quelle che insieme a lei si battono contro le devianze della società moderna, non si rende conto della fortuna che ha avuto nel vivere in questa epoca. E, quindi, esce di fretta e furia dall’ufficio perché oggi deve recarsi a un presidio a difesa delle nostre Tradizioni, costantemente minacciate dalla modernità, dal progresso e dai migranti.
A pensarci bene, in nome dei suoi Sacri Principi, la donna è stata sottomessa all’uomo per buona parte della storia e lei, a quest’ora, anziché con una bandiera in mano, sarebbe a controllare che la lasagna non si bruci, a stendere il bucato e passare lo straccio sul pavimento.
Anche il lavoro minorile per secoli è stato accettato come tradizionale – altro che scuola steineriana. Suo nipote, in ossequio alla tradizione degli avi di famiglia, dovrebbe fare lo spazzacamino. Ok, i camini sono sempre meno, ma un bel mestiere da fare con gioioso brio, a 6 anni, lo si troverebbe – per esempio il falegname, come il padre di Nostro Signore Gesù.
L’errore di Maria non è certamente rifiutarsi di preparare la crostata. Fa bene a stare per strada, a esprimere il proprio dissenso, a cercare di indirizzare il voto. La sua mancanza sta nel non voler capire che l’identità è un fatto individuale, che rende l’individuo unico, ma calare questa in una rappresentazione collettiva, pervertendola. È un errore, tanto quanto negare l’influenza esterna su questa. Come ha scritto Tvetan Todorov, “occorre superare la sterile opposizione fra queste due concezioni: da un lato l’individuo disincarnato e astratto, che esiste fuori dalla cultura; dall’altro l’individuo imprigionato a vita nella propria comunità culturale d’origine” (La paura dei barbari, Garzanti, 2009). In pratica, non esiste una cultura unica, né una tradizione a cui tutti noi ci rifacciamo o di cui siamo schiavi, volenti o no, come automi senza possibilità alcuna di sottrarsi, di compiere scelte, invece che fare come mele che cadono lontano dall’albero.
Questa donna è convinta sia un dovere mantenere in modo coercitivo, statico e inalterato, il mondo intorno a lei. Questo avviene in virtù di una ricorrente associazione tra tradizione e identità collettiva che è ciò che determinerebbe il singolo, il quale attaccando, andando contro la Sacra Tradizione, andrebbe de facto contro sé stesso.
E sarebbe quindi logico pensare che Sana, 25enne di origine pakistana sgozzata dal padre e dal fratello, perché voleva vivere come noi e rifiutava le imposizioni religiose della sua famiglia, avendo deciso di sposare un italiano, avesse torto marcio.
Per non parlare della donna indiana che, il 28 maggio del 2012, incinta di 3 mesi e madre di un bambino di 5 anni, fu uccisa e il marito reo confesso dichiarò di averla “punita” con la morte perché a suo dire vestiva all’occidentale, contrariamente alle tradizioni indiane.
E come dimenticare la ragazza pakistana che, nel settembre del 2013, a Brescia, rifiutava un matrimonio combinato. Per punizione venne rinchiusa in casa e violentata da un cugino che voleva così infliggerle una punizione, educarla al fatto che non si può venire meno alle proprie tradizioni.
È già perché la Tradizione, non è solo quella che negava il divorzio alla donna in Italia, quella che la voleva a casa a rigovernare i piatti. In nome delle radici, della supremazia della proprio retaggio, sono stati commessi atti e violenze indicibili.
Maria dovrebbe capire che, come sostiene Francesco Remoti, “L’identità è un fatto di decisioni. E se è un fatto di decisioni, occorrerà abbandonare la visione essenzialista e fissista dell’identità, per adottarne invece una di tipo convenzionalistico […] Non esiste l’identità, bensì esistono modi diversi di organizzare il concetto di identità. Detto in altri termini, l’identità viene sempre, in qualche modo, costruita o inventata” (Contro l’identità, Laterza, 2001). Rientra quindi tra le nostre possibilità rimanervi imprigionati, inchiodati alla croce o strappare via i chiodi, scendere e andare in giro, respirare il mondo intorno e decidere, da soli, chi siamo e cosa vogliamo per noi stessi.
Alex Vön Punk
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L’AUTORE
Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelance, agitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Liibertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del reddito di base universale.