DONNE, NON LASCIATECI SOLI CON CONCITA DE GREGORIO (di Matteo Fais)
“Due cose vuole il vero uomo: pericolo e gioco. Perciò vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso” (Nietzsche, Così parlò Zarathustra).
Nessun uomo che abbia conosciuto le donne può veramente amarle di un amore puro, privo di odio. Quel loro odore che smuove dentro, in modo malsano, qualcosa di primitivo e avvilente. Il musetto sorridente che nasconde nella dolcezza il diabolico. Quella schifosa buccia d’arancia che si forma sul loro culo e sulle cosce, e di cui ci si meraviglia ogni volta che ce lo faccia comunque venire duro. E quel loro organo dal taglio irregolare, frastagliato, come volesse esprimere una smorfia di disgusto verso il nostro. Una donna non si penetra, ma ci si cade dentro come il declivio fa scivolare verso il baratro.
L’odio espresso da Concita De Gregorio, su “Repubblica”, dunque, è comprensibile e reciproco – ci vuole sempre la RECIPROCITÀ! –, tanto quanto cretino e piatto, perché privo di quell’amore che noi sappiamo mescolare all’astio più atroce. Lei, individuA rozza, priva di dimensionalità, vede solo un aspetto, dimentica che dai batteri di quella ripugnanza nasce il legame più forte. Il suo sogno è un mondo senza uomini, in cui questi “servono solo a generare altre donne”. Insomma, un mondo senza guerre, se non intestine, con smalti e rossetti usati come bombe atomiche.
Un uomo vero, invece, sogna una battaglia eterna tra le due polarità irriducibili, in cui, finanche una scopata, dietro la motivazione manifesta del possedere, cela la volontà di autodistruggersi in questa diversità che mai è nostra fino in fondo. Un uomo vero detesta avere una donna al suo fianco e sa benissimo che con un suo simile – anche il peggior nemico – la comprensione, in ultimo, giungerebbe in tempi molto più ragionevoli. Proprio perciò vuole la donna, perché non sa che farsene di questa calma completezza di cazzi mosci e pensieri che sanno di birra ormai calda come il piscio, dopo una lunga chiacchierata.
Al maschio vero piacciono gli spilli nella carne e la carne che si sottrae, quegli occhi che ti guardano e, per naturale impertinenza, dichiarano l’indipendenza, la fregatura della possibile fuga in ogni istante. L’unione con la donna è questo: un qualcosa che non si realizzerà mai fino in fondo e che, proprio perciò, ricerchiamo con disperazione ossessiva, in una condanna a cui nessuno se la sente realmente di sottrarsi.
Concita sogni pure un universo e tutto il sistema solare devirilizzato! Si trastulli il Punto G immaginandoci morti e sepolti, incapaci di erezioni e chiamate moleste per chiedere ancora amore. È abbastanza facile, del resto, immaginarla infastidita da questo animale desiderante – sovente decisamente goffo – che siamo, piagnucolanti per un’altra carezza, ad allungare continuamente intime manate sulle natiche, seduti senza vestiti sul letto a chiedere alla nudità femminile chi siamo davvero – inutile nasconderlo, abbiamo un coraggio barbaro nell’essere patetici.
Noi la lasciamo volentieri sola, insieme a tutte le sue amiche femministe convocate per un eterno pigiama party. Ma, la scongiuriamo, ci lasci le altre, quelle folli e implacabili, sante e troie, che ci detestano, ma sono sempre lì a sperare di essere ricontattate e sedotte per l’ennesima volta dagli stronzi che siamo. Senza di loro, saremmo perduti, finalmente privi di tormento, ma troppo simili ai morti. Perché in verità, non abbiamo mai voluto essere felici, desideravamo semplicemente una donna per sentirci vivi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.