“SE CREO QUALCOSA USANDO IL CUORE, FUNZIONERÀ”: CHAGALL IN MOSTRA A MILANO (di Chiara Volpe)
Capre, galli, uccelli, maiali, vacche. Gli animali dell’adolescenza a Vitebsk segnano la vita e l’arte di Chagall, sono i suoi compagni di gioco. Il nonno era macellaio e, secondo la tradizione ebraica, uccideva le sue bestie con “rispetto e compassione”. Quando Marc viveva a Parigi, nel quartiere bohemien della “Ruche”, il suo atelier si trovava non distante dal mattatoio e le grida degli animali scannati lo raggiungono fin lì. “Laggiù, poco oltre, si sgozzava il bestiame, le vacche muggivano e io le dipingevo”, scriverà nella sua autobiografia.
A Montparnasse, la Ruche assomigliava a un alveare ottagonale e per pochi franchi i suoi studi venivano affittati a numerosi artisti squattrinati, sfuggiti ai regimi o alla miseria. Ogni stanza veniva chiamata “la bara”. Niente luce, né gas, né acqua, buio, spazzatura dappertutto, grondaie bucate, un vero inferno; ma sui pianerottoli gli italiani che cantavano, gli ebrei che discutevano, le modelle, gli artisti ubriachi e rumorosi.
Il nostro faceva la vita dell’esiliato, lavorava solo alla sua pittura di stati d’animo, fino a tardi, senza lamentarsi. Dipingeva nudo, nutrendosi di croste di pane. Quando pioveva e dal tetto filtrava acqua, usava le tele per tappare i buchi.
Ha un viso intelligente, lui, un’espressione ironica e seria al tempo stesso, allegra e triste. Frequenta assiduamente due poeti, Blaise Cendrars e Guillaume Apollinaire, li conduce spesso alla sua porta numerata, il suo rifugio “soprannaturale”. Sono questi amici a suggerirgli i titoli per le opere.
La scena per lui è l’universo intero. Egli ci consegna un luogo stupefatto, dove ognuno ritrova se stesso, i propri sogni dell’infanzia e le immagini perdute della fantasia. Anche noi, assieme agli abitanti dei suoi villaggi, abbiamo seguito le processioni di donne, volato coi sui cavalli, siamo rimasti sospesi in aria o ci siamo esibiti come acrobati, abbiamo pregato nelle sue sinagoghe.
ll suo è un bestiario che non resta circoscritto agli animali dell’infanzia, ma si allarga a un altro serraglio, quello umano. Ecco allora il disgraziato, il ragazzo, il boscaiolo, il maestro di scuola, la vecchia, la serva, il matto, il re, la sua donna, Bella. Il tutto in un’atmosfera onirica e mistica giocata con solennità tenera ed epica.
È pittore-poeta, che sintetizza mirabilmente letteratura, folklore e simboli religiosi in virtù della sua cultura composita: tradizione ebraica e civiltà russa da una parte, esperienze occidentali coi Fauves di Matisse e il primitivismo di Gauguin dall’altra.
“Se creo qualcosa usando il cuore, funzionerà”, scriveva, coerente con l’intento di dare alla pittura un contenuto psicologico e fedele alla propria ricerca. Estremamente selettivo rispetto alle rivoluzioni e alle evoluzioni delle avanguardie artistiche del suo tempo, egli scrive “mia e soltanto mia è la patria dell’anima. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a casa” ed è lì che i colori si amalgamano coi suoi pensieri e si afferra l’inafferrabile, il vero significato di ciò che ci sta a cuore.
Fino al 31 luglio, al Mudec di Milano, si terrà una mostra, curata dall’Israel Musem di Gerusalemme, in cui verranno esposte ben 100 opere del poliedrico artista, frutto di donazioni di amici e parenti. Un viaggio che scruta nell’oscurità e nel tormento, nella ricerca e nella gioia, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano.
Se uno specchio restituisce solo l’immagine della rosa, l’opera di Chagall ne riflette anche il profumo.
Chiara Volpe
L’AUTRICE
Chiara Volpe nasce a Palermo, nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, ha svolto diverse attività presso la Soprintendenza per i Beni Culturali di Caltanissetta, città in cui vive. Ha lavorato per una casa d’Aste di Palermo, ha insegnato Arte, non trascurando mai la sua più grande passione per la pittura su tela, portando anche in mostra le sue opere. Attualmente, collabora anche con il giornale online Zarabazà.