TIMORE E TREMORE – INVITO ALLA FEDE, PER NON CREDENTI, SCRITTO DA UN ATEO (di Matteo Fais)
Un giorno, più o meno lontano, come ogni uomo sa bene, il nostro corpo, usato appena per arrivare da casa alla macchina, per esalare qualche goccia di sperma in faccia a una troia, si ribellerà. Potrebbe essere del vomito improvviso o del sangue nel piscio, un dolore atroce, il cuore che comincia a seguire uno strano ritmo annunciando il suo imminente collasso.
Sì, un giorno, qualcosa o qualcuno ci comunicherà che è arrivata la nostra ora. Quel momento che ci siamo sforzati in ogni modo di pensare lontano si troverà lì, a un passo, il passo fatale. Allora, non ci saranno più scuse. Non potremo più limitarci alle nostre solite attività che fanno passare il tempo, come portare a spasso il cane o sedurre una donna, fare soldi o sperperarli, perché ogni secondo sarà davvero vita che se ne va.
Potete facilmente immaginare il medico che vi guarda e non sa come dirvelo: “Mi spiace, lei ha un cancro e non è operabile”, o qualcosa di simile. Vi sentirete come il condannato a morte che compie il suo ultimo percorso fino alla sedia elettrica. Siete fottuti e non ci sarà appello, o possibilità di replica. Sarà l’angoscia, senza possibilità di lenirla, come un baratro che si aprirà sotto i vostri piedi. Sì, vi sentirete sprofondare.
Da quel momento, niente di ciò che è stato conterà più. Successi e miserie vi staranno dietro in tutto ciò che rappresentano: niente. L’esistenza è davvero ben poca cosa, non è vero? Ci vuole così poco a svelarla, a rivelare il sottointeso di ogni istante. La carne ci abbandonerà mandando a farsi inculare il desiderio di eternità della coscienza. Su un angusto letto di ospedale, quando oramai sarà troppo tardi, sperimenterete su voi stessi lo schifo che siamo: materia che si liquefa in sudore e merda, organi che fanno quel che preferiscono. Paura, solo paura e un feroce senso di inutilità.
In quei giorni in cui le lancette dell’orologio correranno troppo veloci per poterne sopportare la vista, un ulteriore motivo di inquietudine vi coglierà del tutto impreparati: Dio. Quella cara e fastidiosamente seriosa figura di tante immaginette e quadri di chiesa, che tutti confondono con suo figlio Gesù Cristo, non vi si è mai manifestata. Si potrebbe quasi dire che vi siete entrambi ignorati con spirito di massima civiltà. Dio non c’era quando mangiavate, quando vi siete fatti la prima scopata, quando avete comprato la macchina. E cosa faceva Dio? Silenzio! Davvero, se esiste, il suo comportamento è esecrabile, attira solo bestemmie e maledizioni.
A questo punto, qualcuno potrebbe replicare che lui di un Essere Superiore non sa davvero che cazzo farsene. La vita è ciò che è: si vive e si muore, punto. Del resto, obiettivamente parlando, si può anche costruire una morale senza Dio. Kant l’ha fatto, per dire, è la religione nei limiti della sola ragione. Che fare? Volgarmente, niente che non vorresti venisse fatto anche a te. Esattamente, quello che si insegna anche ai bambini dell’asilo. Certo, senza lo spauracchio dell’inferno è difficile convincere un prepotente ad assumere su di sé un tale impegno. Ma è altresì vero che, pur con la possibilità della dannazione eterna, quasi mai abbiamo messo un freno al nostro egoismo.
Dunque, si può vivere senza Dio? Sì, si può fare, salvo gli ultimi giorni, mesi, anni, se si sa in anticipo di andare incontro alla morte. Lo facciamo quasi tutti. Ogni volta che passiamo la mano su una coscia particolarmente attraente, o diciamo a una di succhiarcelo, scommettiamo pascalianamente che non ci saranno demoni a torturarci per l’eternità, che non esista un Dio i cui occhi giudicanti ci fissano dal principio.
Il fatto è che, se Dio non esiste, davvero tutto è permesso per coloro che non sentono dentro di sé il richiamo della morale. Amare o odiare, dare da mangiare agli affamati o sparare su di loro per diletto sono atti dello stesso valore quando manca un principio eteronomo, cioè esterno. Come dice Sartre, “dunque è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare i popoli, l’uomo è una passione inutile”.
Cosa rimane? La disperazione, il silenzio degli spazi infiniti, il morso dell’angoscia, il vuoto più nero. Moriremo come i vermi, come la vespa o la mosca e tutto ciò che vive e viene schiacciato dalla forza ottusa del resto di ciò che esiste.
Oppure, resta l’estrema possibilità, un ultimo raggio nella stanza più buia. Credere, credere perché è assurdo, come dice Tertulliano, umiliando la propria ragione la quale sa bene che non c’è niente oltre il dolore e l’orrore, che se Dio esiste è un sadico a metterci al cospetto di simili prove. Credere, citando Kierkegaard, come ci si può lanciare giù per un dirupo sperando di salvarsi. Credere, perché senza Dio tutto è perduto e anche il più grande piacere, in ultimo, sarà stato senza più essere. Credere perché un grumo di atomi non può produrre la Nona, anche se la Natura con le sue bellezze mette fortemente in dubbio una simile tesi. Credere come scommettere sull’impossibile perché, con buona pace di San Tommaso e Sant’Anselmo, con la razionalità non si va lontani, perché la ragione non è l’amore che serve nel momento del trapasso, quando il cuore si contrae nello spasmo finale. Credere, se ci riuscite, perché non è facile… Bisognerebbe ancora essere in grado di ingannare sé stessi.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.