ALLA LUCE FUNEREA DELLA LUNA – INVITO ALL’ASCOLTO DEL BLACK METAL (di Matteo Fais)
“Siamo una fiammata nel cielo del Nord” recita una gracchiante voce spettrale, prima che la nera valanga sonora travolga l’umanità, in Transilvanian Hunger. Orrore, raccapriccio, mostruosità e feroce misantropia, satanismo e nazionalismo, chiese che bruciano per riscattare il paganesimo rimosso dalla brutalità della religione vincente.
Il Black Metal è un universo costruito per incutere timore in chiunque vi si approcci. Scoraggiare all’ascolto è il motivo fondante. Come all’ingresso dell’inferno dantesco, bisogna riporre le proprie speranze e scegliere l’oscurità.
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Preparate le vostre orecchie all’attrocità e alla violenza, a un suono di tamburi che ricorda il martellare di mille mani disperate su un portone che non si aprirà mai. In questo genere, tutto è distorsione, non solo il rumore delle corde elettrificate come unghie affilate che raschiano la superficie. Ogni voce è urlo, scavo del bisturi in gola, parola umana durante la possessione diabolica, vampiresco e sadico piacere nel suscitare sgomento.
Abbandonate il vostro lato umano, sbarazzatevi della stabilità e dell’equilibrio, entrate nel gelo della tenebra, nella pioggia ghiacciata dei boschi del nord dove la vita è impossibile. Il Black Metal richiede una predisposizione per l’emozione più disturbante, come la letteratura horror. Le persone sane non possono afferrare la gioia che danno il male e il dolore, l’incontro con l’abominevole, la carezza del mostro che fa accapponare la pelle, mentre questa già si decompone nella paura.
Non importa non capire cosa dicano le grida disarticolate di queste anime che sembrano sperimentare la dannazione. Le si deve ascoltare solo per sperare di giungere alla sordità, proprio come, durante l’agonia, l’unica salvezza sembra essere quella della morte. Perché, se esiste realmente qualcosa come il tormento eterno, certo questo tuona nelle viscere come un album dei Darkthrone o degli Evilfeast, come un suono che non può dare pace.
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È superbo, durante la confusione che genera l’ascolto di questa pioggia di spilli nella carne, riflettere su come l’essere umano possa concepire pensieri impuri tanto splendidi, sfiorare il fondo dell’abisso e trovare una luce nera così abbacinante. Con un disco di Black Metal nelle cuffie, fendendo la folla, si possono progettare olocausti senza alcuna remora, con compiaciuta assenza di rimorso; o scorgere il cielo al tramonto lacerarsi e sanguinare una notte senza redenzione, senza la possibilità di una futura alba.
Se molta – troppa – musica celebra la vita e la sua sciocca festa, per fortuna esiste questo sottogenere che fa di tutto ciò che è buio e solitudine un culto. Forse aveva ragione Per Yngve Ohlin “Dead” quando scrisse, nel suo biglietto d’addio, che “questo è solo un sogno e presto mi sveglierò”. L’umanità è sopravvalutata. Si rende sopportabile solo quando varca definitivamente il cancello del cimitero e non proferisce più se non un infinito silenzio. Nel mentre, meglio coprire il suo inutile rumore di fondo con un urlo infernale.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Il Black Metal è puro romanticismo, poi i Darkthrone degli ultimi dischi sono abbastanza avvicinabili anche da chi non è avvezzo alla musica così estrema essendo parecchio influenzati da sonorità punk, metal classico e dal compianto Lemmy.
Ascoltate “Damnation” degli Opeth invece di quella merda da fps ammeregani.
La notte può essere un capolavoro.