È IN MOSTRA IL PITTORE DI “PROFONDO ROSSO”, ENRICO COLOMBOTTO ROSSO (di Chiara Volpe)
Qualcuno, tra i non addetti ai lavori, si ricorderà di lui quando gli si citerà la scena di Profondo Rosso, il più noto film di Dario Argento, ambientata nell’oscura e inquietante dimora della sensitiva Helga Ullman – Macha Méril. I corridoio della casa sono pieni dei suoi quadri. Se finalmente qualcosa vi è tornato alla mente e siete curiosi, sappiate che dal 29 maggio 2022 all’8 gennaio 2023, la Pinacoteca Civica di Palazzo Vittone, in Pinerolo (Torino), ospiterà la più importante retrospettiva mai dedicata ad Enrico Colombotto Rosso, il Genio Visionario, promossa dal Comune con il patrocinio della Regione Piemonte e organizzata da Munus Arts & Culture, con la collaborazione della Fondazione Enrico Colombotto Rosso e del Museo Nazionale del Cinema di Torino (in collegamento con l’esposizione dedicata a Dario Argento, The Exhibit, in programma dal 6 aprile 2022 al 16 gennaio 2023).
La mostra presenta 150 opere che ripercorrono il percorso artistico, spirituale ed immaginativo del poliedrico pittore, tra oli, chine, tempere, locandine, assemblaggi, per cogliere le profondità dell’essenza della sua modalità di espressione.
Nato a Torino nel 1925, Rosso fin da bambino dimostra passione verso il disegno e le tecniche espressive, che studia da autodidatta. Da adolescente, frequenta una piccola cerchia di poeti e letterati, scrive poesie e si muove nell’ambiente culturale piemontese con grande interesse.
A 15 anni, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il padre lo indirizza verso la carriera artistica. Viene bocciato per due volte all’esame di ammissione all’Accademia Albertina, ma ciò mette soltanto in sospeso le sue ambizioni. Nel frattempo, si cimenta in varie esperienze lavorative e, alla morte del padre, eredita una piccola somma. Il suo unico scopo è far diventare la pittura il proprio mestiere. Nel 1948 apre, a Torino, la galleria “Galatea”, dove si occuperà di artisti come Schiele, Bacon, Balthus.
Diviene un Maestro del Surfanta, il movimento artistico torinese “Surrealismo e Fantasia”, attorno a un luogo simbolico e di lavoro chiamato Soffitta Macabra (nasce anche un periodico omonimo, dove si pubblicano gli scritti degli artisti). A Parigi, entra nella cerchia di amicizie di Leonor Fini, Dorothea Tanning e Max Ernst, a lui molto vicini sotto diversi aspetti. Soprattutto con la Fini, il rapporto sarà appassionato e duraturo (importante la loro corrispondenza epistolare) e, nel suo studio, punto di ritrovo di pittori surrealisti come Stanislao Lepri e pensatori come il polacco Constantin Jelenski, si forma un vero e proprio cenacolo creativo che spesso si sposta in un monastero diroccato vicino al mare, a Nonza, in Corsica, per dare vita alle visioni suggerite da quel luogo incantato. L’irrequietezza del Colombotto Rosso e la sua curiosità, lo conducono attraverso l’Europa fino agli Stati Uniti, dove conosce Warhol, Jonesco, Fellini. Consacratosi nel mercato dell’arte, si trasferisce nel 1991 a Camino, in una misteriosa e affascinante casa tra le colline del Monferrato, circondato dai ricordi e dai suoi gatti. Muore all’età di 87 anni, nell’aprile del 2013.
Caratterizzato da un linguaggio da un impatto immediato, ciò che viene mostrato nelle sue opere provoca e fa vacillare ogni equilibrio mentale nello spettatore. Egli è fortemente influenzato dal neosurrealismo del tempo, ma anche dalle visite alla Casa d’Accoglienza del Cottolengo di Torino e a quelle al Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso. Nella sua produzione, ambienti minuziosamente decorati, scarsamente illuminati, come quelli del fiammingo Petrus Christus, dall’aria claustrofobica e asfissiante, ospitano figure scheletriche e luciferine, inquiete e cariche di tensione interiore, strumenti di indagine di tematiche come quella della morte e del sogno, nell’esigenza di esplorare aspetti meravigliosi e complessi della vita e dell’inconscio.
E poi i volti infantili e quelli delle bambole, come allucinazioni che fuoriescono dal paesaggio, mutazione di un’immagine in un’altra. Le sue figure femminili, alla maniera di Delvaux, sono divinità quasi irraggiungibili e immobili, sensuali, in un freddo distacco dal mondo. L’infinito gioco di segni, che sprigiona energie immaginative, alla maniera di Mirò, ricerca un equilibrio tra figuratività e astrazione ed ecco qui, in siffatto spazio, un’umanità disperata e a volte deforme, che ha l’intento di scioccare, toccare e sconvolgere la nostra psiche, coinvolgendoci in labirintiche contorsioni mentre ci investe di interrogativi, persino su noi stessi.
In questo “mondo stravolto”, come lo definisce Testori, ogni miracolo visivo può avvenire, ogni pensiero può farsi immagine, incontrando il Trionfo della Morte, della crudele espressività ereditata da Caravaggio, Gericault, Goya, insieme alle assonanze con Dalì. Siamo fragili, creature passeggere, talmente ricche interiormente da appartenere, di diritto, ad un mondo enigmatico e la mente si spoglia sulla tela e mostra il senso.
Chiara Volpe
L’AUTRICE
Chiara Volpe nasce a Palermo, nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, ha svolto diverse attività presso la Soprintendenza per i Beni Culturali di Caltanissetta, città in cui vive. Ha lavorato per una casa d’Aste di Palermo, ha insegnato Arte, non trascurando mai la sua più grande passione per la pittura su tela, portando anche in mostra le sue opere. Attualmente, collabora anche con il giornale online Zarabazà.