IL FILM SULM MONDO DEL PORNO, “PLEASURE”, DIMOSTRA UNICAMENTE I DANNI DEL FEMMINISMO SULLA MENTE DELLE GIOVANI (di Matteo Fais)
Sono giorni che la pubblicità viene mandata a ripetizione sui social, dacché la pellicola è disponibile anche in streaming sulla piattaforma Mubi. Il lancio recita “Il film più onesto mai realizzato sull’industria del porno contemporaneo”. Dato che il settore a luci rosse è l’intelaiatura su cui si regge il web, difficile dire di no, rifiutare l’offerta di sbirciare nel dietro le quinte.
La delusione, purtroppo, è tanta. Del film spicca quasi solo la colonna sonora che mescola con rara e toccante armonia canto lirico insieme al rap più violento del ghetto. Per il resto, l’avrebbe potuto girare un qualsiasi cameraman del settore. Niente di sconvolgente, niente che non sia già stato visto o raccontato in mille inchieste che chiunque conosca l’inglese potrà facilmente consultare su Google.
La trama è più o meno la stessa di Hot Girls Wanted, il famoso documentario presente anche su Netflix, solo trasposto con un andamento narrativo filmico. Una ragazza, Linnea, interpretata dalla magnifica Sofia Kappel, giunge in America, dalla Svezia, per diventare un’attrice porno, col nome d’arte di Bella Cherry. Cerca il successo a tutti i costi, in un mondo, inflazionato di altre come lei, che è palesemente una giungla e in cui, manco a dirlo, non è tutto oro ciò che luccica e bisogna ingoiare un boccone – facciamo finta che sia un boccone – amaro dietro l’altro.
Caspita, sai che scoperta! Malgrado i drammi che la tizia attraversa – in tutta franchezza, a causa di una persistente e stolta volontà autodistruttiva –, lo spettatore più scafato e di mondo non potrà non farsi scappare un sorriso ed esclamare tra sé e sé: “Ok, tesoro, ma stai andando a succhiare cazzi per lavoro: cosa speri di trovare sul set, il posto giusto per recitare il rosario?!”.
Pleasure, in tal senso, mostra unicamente i molteplici danni che il femminismo ha causato sulla mente delle giovani ragazze di oggi. Tutti i vari “non devi permettere che ti giudichino per come ti vesti e per quello che fai”, “le strade sicure le fanno le donne che ci camminano”, sono visioni favolistiche del mondo che alla fine portano solo a risultati devastanti.
Aver messo in testa a certe che in fin dei conti non c’è niente di male a servirsi del proprio corpo per fare soldi in fretta e senza troppa fatica, anzi che questa sarebbe una forma di empowerment, praticamente di libera affermazione di sé, è peggio che averle drogate con un flebo di allucinogeni. È chiaro che poi queste, soprattutto se incapaci di un pensiero critico autonomo, si metteranno in situazioni difficili, pericolose, oltre che socialmente squalificanti.
Alla fine, ogni essere umano è ciò che fa. Se scrivi la Divina Commedia, sei un poeta; se apri le cosce per soldi, senza neppure la scusa dell’inedia, poi non puoi lamentarti di essere ridotta a un buco. Tanto più che fare la mignotta – dai, diciamocelo, quello è – non è mestiere per tutte: ci vuole vocazione, pelo sullo stomaco e non tra le gambe, una certa capacità nello scindere la finzione scenica dalla realtà. Altrimenti, è ovvio che tutto si risolve nel degrado e nello squallore più miseri. Non ci vuole chissà quale cervello per arrivarci – tanto più che, oggi come oggi, non esistono donne cascate giù dal pero.
Recarsi in un capannone per recitare in un film in cui, come ti è stato annunciato, dovrai prendere schiaffi e sputi, essere strangolata e, se possibile, vomitare durante il pompino, richiede una notevole dose di demenza; come auspicare che gente la quale, per lavoro, simula stupri ogni giorno, sia normale. Se non ci arrivi da sola, spiace dirlo, ma non devi essere molto perspicace – e, tra parentesi, pure tu non devi starci granché dentro con la testa, se accetti di fare certe cose, per di più con degli sconosciuti.
Ma la protagonista persegue e insiste sulla sua strada. Non si placa, non dice a sé stessa, dopo certe esperienze estreme, che forse sta facendo una cazzata. Manifestamente, lei è il risultato di una malsana idea della libertà femminile diffusa a reti – televisive e social – unificate.
Nel finale, ovviamente aperto e tutto sommato piuttosto debole, sembra avere un brusco risveglio di coscienza. Si intuisce che ha compreso il malsano nascosto dietro il glitterato – alla buonora! In compenso, durante un discorso con alcune sue amiche dell’ambiente, tutte convengono sull’idea che nel settore del porno le donne dovrebbero acquisire maggior potere – niente, non ci arrivano proprio, poverette!
Se non volete che le vostre figlie abbiano una sorte simile, a costo di fare mansplaining – se si tratta delle vostre figlie, sorelle, cugine, amiche, fatelo e fottetevene –, spiegate loro che sì, anche se è un diritto fare ciò vogliono col proprio corpo, ogni azione ha le sue conseguenze. Per farla breve, se ti butti giù dall’aereo, c’è sempre la possibilità che il paracadute non si apra.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.