NEL MONDO DEL BDSM – INTERVISTA CON LA SLAVE (di Matteo Fais)
Eva è uno strano personaggio, potrebbe tranquillamente figurare in un romanzo di Houellebecq. I sui capelli biondi e gli occhi sognanti le conferiscono un’aria quasi angelica, con una promessa di dolcezza, del conforto di una carezza. Difficile immaginare che questa ragazza covi dentro una passione la quale, nel suo essere così feroce, è quasi una fuga dall’erotico, l’estrema trasgressione alla logica animalesca dell’accoppiamento, la sublimazione ultima della genitalità.
La sua perversione, se così si può chiamare la pratica di fare da slave (schiava) nei rapporti BDSM, ha una ritualità che a tratti presenta una rigidità religiosa, con officianti e fedeli devoti al suo culto. Il fascino della cosa è indubbiamente magnetico, persino per chi non è esattamente avvezzo alle sessualità alternative.
La ascolto raccontare di sé in una confessione fiume senza filtri che è anche un viaggio dantesco in cui lei fa da guida e traghettatrice infernale. L’oscurità che lascia emergere è piena di sfumature, luci di fuochi che attirano, pur incutendo timore, facendo desiderare di bruciare come falene. Fuor di dubbio, c’è dello splendore in tanto strazio e la tortura sembra un percorso di purificazione attraverso il martirio. Ci vuole veramente poco a mettere in crisi la normalità, basta guardare nell’abisso e scorgere degli occhi che ricambiano morbosamente lo sguardo.
Quello che mi colpisce, tra le tante cose, è come, nel suo racconto, la normalità si insinui nell’abominio: il tentativo di coniugare amore e mania, i sentimenti più comuni e condivisi che viaggiano in parallelo con quelli inconfessabili. C’è tanto della donna normale in Eva, come Eva è nascosta un po’ in tutte quelle donne che della normalità hanno fatto il loro abito di tutti i giorni.
Quando è stata la prima volta che hai sentito la pulsione, o l’attrazione che dir si voglia, verso questo genere di pratiche?
Quando la sento per la prima volta, non so definire questa pulsione, perché sono troppo piccola e ingenua – non so praticamente ancora niente del sesso. La consapevolezza arriva verso i trent’anni, ma in realtà sono attratta da situazioni particolari già da bambina. Succede in diverse occasioni, fin da allora. Era circa la metà degli anni 80 e in tv trasmettevano il film Mamma Ebe. La donna punisce le ragazze che lavorano per lei bagnandole con una pompa, da cui esce acqua gelata. Lo stavamo guardando insieme, in famiglia, zii compresi, e tutti erano profondamente sconvolti dalle scene che ho citato. Tutti tranne me. Io ne ero affascinata. Trovavo belle quelle pratiche, o quantomeno mi smuovevano qualcosa dentro. Ovviamente, non lo esternavo. Sapevo che non sarebbe stato ammesso dire una cosa simile. Un altro episodio, durante l’infanzia, avviene quando mi trovavo in vacanza a Brindisi. Mi ricordo che – dovevo avere tra i 6-7 anni – c’erano tanti ragazzini che mi venivano dietro. Sceglievo quelli che mi piacevano, allontanando gli altri, ma chi restava doveva farmi da servo. Precisamente, facevo interpretare loro il ruolo di cani o cavalli.
Li usavi come cavalli?
Cavalli o cani. A uno feci fare l’asino e lo costrinsi addirittura a ragliare per me, mentre girava intorno a un lampione come si fa con quel genere di animali quando vengono addomesticati.
Altre situazioni?
Alle elementari. Dovevo essere circa in quarta. Alla classe si era aggiunto un nuovo bimbo, successivamente al trasferimento della sua famiglia in paese. Quando giocavamo fuori, durante la ricreazione, io simulavo di farmi la doccia e gli dicevo “Tu, adesso, ti metti lì in ginocchio e mi guardi mentre mi lavo”.
Uhm…
Poi, ci sono stati diversi film che hanno stimolato la mia fantasia, con l’idea della punizione e del supplizio, tipo Arancia Meccanica. Ricorderai la scena dello stupro. È orribile e agghiacciante… A me, però, eccitava quello che subiva la moglie dello scrittore. Ancora allora, però – ero sempre troppo piccola, quando lo vidi per la prima volta –, non riuscivo a mettere bene a fuoco la cosa.
Interessante…
Successivamente, a sedici anni, parto con la famiglia e ci rechiamo a visitare il campo di concentramento di Dachau. Me lo ricordo molto bene quel giorno, fu terrificante. Ricordo al contempo, però, che furono tante le sensazioni contrastanti. A fronte dell’orrore, per esempio, le divise dei militari lì conservate suscitarono una grande fascinazione su di me, esattamente come l’idea della supremazia dei soldati sui prigionieri. Anche in quel caso, ovviamente, evitai di far presente ai miei questi sentimenti, che sapevo essere sbagliati.
Quindi, secondo te, questa tendenza è, più che una scelta, una pulsione innata? Non pensi che sia dovuta a un qualche episodio vissuto durante l’infanzia?
Non so… No, in realtà, potrei dirti tante cose. Negli anni, ho fatto molta psicoterapia e un lungo lavoro su me stessa, perché mi dicevo che non è normale eccitarsi o avere queste pulsioni per violenza, dolore e umiliazione. E, in effetti, da piccola ho subito mortificazioni sia verbali che fisiche, all’asilo, alle elementari e tra le mura domestiche. Sono cose che tu scambi per amore, in qualche modo, perché messe in atto dai genitori o da figure di una certa importanza a livello educativo, come la maestra, anche se non erano piacevoli, in origine, quando le vivevi. Finisci così per ricercarle, successivamente, nella tua quotidianità.
Un esempio degli abusi subiti?
Ero all’asilo. A me non piaceva dormire nel pomeriggio, ma loro ti obbligavano a farlo. Siccome io parlavo, invece di addormentarmi, mi trascinarono fuori dalla stanza, ricoprendomi di improperi, per poi mettermi su una seggiola per bambini e legarmi col nasco adesivo – me lo misero addirittura sugli occhi. Un’altra situazione fu quando dovevamo preparare un regalino, per le feste natalizie, destinato ai nostri genitori, con il DAS. Bisognava creare delle piccole palline, che poi sarebbero state dipinte, andando a comporre un alberello. Io ero l’unica a non riuscirci, quindi ero in estremo ritardo rispetto alle altre che avevano già terminato. Rimasi così con le due maestre. Loro ridevano di me e mi dicevano che ero stupida, incapace. Alle elementari, poi, capitò che subentrasse una supplente alla maestra ufficiale, perché questa era stata ricoverata in ospedale. La donna mi prese di mira. Prima che squillasse la campanella della fine della lezione, interrompeva con la didattica consueta e mi costringeva ad andare al centro dell’aula per essere interrogata dal resto della classe, umiliandomi e deridendomi. Passai tutti i giorni in cui lei rimase con la paura di entrare a scuola.
In cosa si sostanzia uno di questi rapporti in cui tu fai, se non ho inteso male, la slave?
È sbagliato dire “tu fai”. Non è una recita, implica un sentire…
Per carità, non ne dubito. Ma un esempio di quel che avviene vorrei sentirlo, per farmi un’idea…
È difficile spiegarlo. Non saprei da dove cominciare, perché si tratta di un percorso che tu intraprendi con una persona, un percorso di conoscenza. Muta da individuo a individuo. Ogni incontro è in tal senso unico, dipende dalle esperienze pregresse, da cosa cerchi, desideri, e da cosa ti eccita. A me, per dire, se non c’è la parte mentale, se uno non mi prende a livello intellettuale, non arriverò mai a vederlo e a farci qualcosa. Io sono così: o una persona è perversamente mentale, o altrimenti non mi faccio toccare neppure con un dito.
D’accordo ma, con una persona con cui tu riscontri questo tipo di affinità, cosa avviene? Raccontami un’esperienza realmente accaduta, accaduta a te, niente di generico, tipo “di solito, tra quelli come noi”.
Accade di fare tutto ciò che lui mi chiede di fare. Ciò, inizialmente, solo a un livello virtuale e, in seguito, dal vivo, nel momento in cui si decide di incontrarsi.
Quindi, di solito, li conosci prima online?
Sì.
Poi?
Guarda, la prima volta in cui ho scoperto la mia natura, quando ho conosciuto il mio primo padrone, facevo la cam girl, attività che, a essere onesta, mi piaceva molto, perché amo esibirmi. Andavo in giro per le chat a cercare dei polli. Sai, quei luoghi virtuali sono pieni di segaioli. Mi ricordo che trovai un utente il cui nickname era “Bello, ma Severo”. Presi a dialogarci. Poi, gli feci presente che, se interessato, avrebbe potuto trovarmi, a pagamento, su una certa piattaforma. Lui mi rispose così: “E io dovrei pagarti, per vederti nuda? Questo non accadrà mai. Sai, invece, cosa succederà? Tu mi pregherai per spogliarti nuda di fronte a me”. Quando mi disse così, io mi incazzai e lo mandai al diavolo. Tutto il giorno e tutta la notte, però, non feci altro che pensare a lui. L’indomani, infatti, lo ricercai, senza trovarlo. Mi riuscì il giorno successivo. Da quel momento, cominciammo a sentirci. Dopo due giorni, sapevo – perché questa è la sensazione che hai – di essere sua, di appartenergli, quasi di avere un collare al collo. Ci siamo confrontati virtualmente per circa 15 giorni, tramite Skype e poi incontrati. Per la prima settimana, però, durante le nostre conversazioni online, io non l’ho mai né visto né sentito, ma solo letto…
Credo di non aver bene inteso: vi limitavate a digitare sulla tastiera?
Lui si limitava a quello, ma vedeva e sentiva me. E già quella situazione non paritaria, a livello mentale, era per me qualcosa di incredibile. Mi piaceva quello che mi diceva, quello che mi faceva fare, mi piaceva come mi prendeva alla testa…
Scusa, cosa ti faceva fare via Skype?
La primissima volta, mi ha detto di mettermi con la faccia contro il muro e di spogliarmi. Io tremavo tutta dall’emozione. Poi, mi ha ingiunto di girarmi e venire verso la telecamera. Questa è stata la prima volta, una prima volta pazzesca per me che non avevo mai fatto qualcosa di simile con nessun’altro. Adesso, la vedo come una situazione standard, ma allora era davvero pazzesco dal mio punto di vista di neofita. Successivamente, abbiamo fatto tante cose. Mi imponeva come vestirmi, come andare al lavoro, come truccarmi, come agghindarmi quando dovevo vederlo la sera. Quando gli chiedevo di sentirci al telefono, si limitava a rispondermi “No, non è ancora il momento”. Dopo una settimana mi ha fatto ascoltare la sua voce, solo una volta, per poi aggiungere “da questo momento, non mi sentirai più e ti limiterai a leggermi”.
Uhm…
Siamo andati avanti così un’altra settimana. Io, per intenderci, non l’avevo ancora mai visto quando abbiamo deciso di incontrarci. Non sapevo se fosse bello o brutto, ma sono stata fortunata perché era veramente stupendo. Vuoi che ti racconti altre pratiche virtuali che mi fece mettere in atto prima di incontrarci?
Molto volentieri! Sentiamole…
Una volta mi ha chiesto di stare davanti alla webcam, con le gambe aperte, mentre lui mi guardava e io non potevo vederlo, tenendo le labbra della vagina aperte, con un piattino sotto. “Guai a te se sgoccioli”, mi disse. A me, il solo fatto che mi avesse dato un ordine simile, mi fece esondare come un fiume. Lui, frattanto, mi insultava dicendo che ero inutile, stupida, neppure in grado di eseguire un suo ordine. Per punizione, dovetti leccare tutto quello che c’era nel piattino.
Andiamo all’incontro…
Il giorno, lui arriva col treno. Mi dice di recarmi in un determinato posto, presso un ponte, ad attenderlo. Indossavo un abito che aveva richiesto, calze autoreggenti, mentre sotto ero nuda. Dovevo stare con le gambe leggermente divaricate, a occhi chiusi, ad aspettare. È arrivato da dietro e ha messo una mano lì. Mi ha fatto girare e a quel punto mi è preso un colpo, perché era bellissimo. Poi, siamo andati a casa mia.
E a quel punto?
Si è seduto sul divano. Mi ha fatto mettere sotto e usata come poggiapiedi, per un po’. Intanto, lui stava lì e non diceva niente. Poi, mi ha fatto spogliare e accucciare, per inserirmi infine il collare. Mi ricordo che ascoltava il mio cuore e avvertì le pulsazioni accelerate. Infatti, ero spaventatissima, eccitatissima e… innamorata. Allora, mi ha detto con tono perentorio di andare in una camera, attenderlo lì, ancora un volta a occhi chiusi. Quando è arrivato, mi ha bendata. Mi girava intorno, ma non capivo dove fosse. Sentivo solo il rumore del cuoio delle sue scarpe sul pavimento. A un certo punto, ha cominciato frustarmi. È stato fantastico!
Senti, una curiosità: in tutto ciò, tu provi comunque piacere nell’avere rapporti sessuali di natura canonica?
Sì, assolutamente. Li voglio, ne ho bisogno. Malgrado tutto quel che ti ho raccontato e che sicuramente non rientra nella normalità, io mi ritengo abbastanza equilibrata. Non sono, peraltro, di quelli che sostengono l’impossibilità della convivenza tra BDSM e amore, anzi per me questa è la più alta forma d’amore: il fidarsi e affidarsi totalmente a un’altra persona. C’è uno scambio: tu ti doni e anche l’altro si dona a te. È un rapporto basato sulla fiducia e l’abbandono, sulla capacità di superare dei limiti insieme. Si va anche incontro a una crescita, a meno di non trovarsi tra le mani di un macellaio. Per fortuna, a me non è mai successo, anche in incontri con sconosciuti, dopo averci chattato per sei ore di fila.
Addirittura incontri così, quasi al buio?
Sai, quando lo senti per iscritto o al telefono, capisci subito che quello è il tuo padrone. Poi, ci si può vedere in un qualsiasi posto e succede quel che deve succedere.
Ma, oltre la frusta, c’è qualche altro strumento che utilizzi durante queste pratiche?
Gli strumenti, come le pratiche, sono in numero infinito. Io, per prima, ne ho sperimentate tantissime. Per esempio, le pinze: sia per i capezzoli che per le labbra della vagina. E la coda…
La coda?
Come dire… Ci sono delle categorie, nel BDSM. Ci sono le PET, che si suddividono in cagne e pony girl, cat girl, le bird girl. Ci sono quelle, insomma, a cui piacere essere un cavallo, una cagna, un uccellino, una gattina. Alcune amano solo certi ruoli, ad altre piacere variare e incarnarne diversi di volta in volta. Io, per esempio, voglio essere solo cagna. Ma ho conosciuto una a cui piace essere cavallina. Il suo padrone si era costruito proprio la carrozza e la faceva vestire da cavallo, con tanto di coda. Non so se hai visto Secretary, quando lui le mette la sella e la carota in bocca. Lei era così, aveva addirittura il pennacchio. Comunque, tanti dom con cui ho parlato…
Dom?
I dominatori. Molti mi hanno spiegato che, se ti piace veramente essere qualcosa, incarni solo quel ruolo e non ci dovrebbe essere nient’altro, tantomeno sesso e intimità. Il motivo sarebbe, stando a un loro esempio, che tu col tuo cane non ci fai sesso. Io non sono così, per me deve esserci anche tutto il resto e il mio ruolo non deve risultare così stringente. A tal proposito consiglio di vedere il film The Pet, in cui si vedono delle ragazze trattate proprio come cani in gabbia. Il padrone le accarezza, dà loro da mangiare. La donna viene deumanizzata e resa animale. Ci sono quelli a cui piace fare questo, come quelle a cui piace recitare la parte delle neonate, le baby girl che vengono vestite da ragazzine dagli sugar daddy. A me interessa un po’ tutto, però rimanendo sul dog training.
Cosa rende qualcuno padrone?
Avere uno schiavo, altrimenti non sei padrone di niente. Ma la maggior parte dei presunti dom sono solo persone con una sessualità stile “famolo strano”. Si tratta unicamente di gente perversa a cui piace fare giochetti. Non lo sentono, non lo sono nella vita reale.
Cosa significa che non lo sono nella vita reale? Non basta limitarsi a quelle due orette in cui si pratica il rapporto?
No! Quando tu sei veramente dominante, lo sei nella vita.
Nel senso che devi avere qualcuno a cui dire tutto il giorno cosa fare, mangiare, indossare?
No, nel senso che il tuo carattere è dominante. Normalmente, i padroni che ho avuto erano anche dominanti nella vita, infatti si tratta di uomini d’affari, di successo, con delle persone sotto di loro, che comandano altri, con un carattere forte, un carisma. Quando vedi un padrone, sai subito, in qualche modo, che quello sta sopra di te.
E una schiava, una schiava cosa la identifica?
Io sono la schiava di qualcuno perché decido di appartenergli, perché lo riconosco come mio padrone. Non è che passa uno per strada e mi faccio sua. Nella vita reale, le schiave sono di solito donne con un carattere molto forte, con alle spalle un vissuto estremamente sofferto, che non abbassano la testa mai, se non per uno e, quando lo fanno, la abbassano fino in fondo.
Ma non è consentito essere la schiava di più uomini contemporaneamente?
Assolutamente, no. E, credimi, è già una fortuna trovare il tuo complementare. Non ti sogni neppure di cercare altro, perché stai talmente bene con quella persona che non esiste niente al di là di questa. Tutti gli altri possono essere belli, però tu ami quella persona e stravedi per lei. Poi, ci sono alcuni che, con la scusa di essere padroni e del “dunque, io posso”, fanno entrare terze persone, solitamente donne, dette le sorelline o gemelline. Altri, stronzi, tipicamente uomini sposati, con la moglie alce che non sa nulla delle pulsioni del marito, il quale ha anche due schiave, quando una di loro si innamora, non potendo esserci sentimento secondo i principi del BDSM – cosa che per me è una boiata –, passano la schiava a un amico dom, per un giorno, e lui gliene fa di ogni, così che a lei passino tutte le romanticherie.
Addirittura?
Io ho constatato che quelli con un mente di superiore perversione, sono tutte persone che non riescono ad amare. Loro vedono il BDSM come pratica esclusiva. Penso che, nel profondo, non amino le donne e soprattutto che escludano l’amore dall’orizzonte di una tale dinamica. Nel rapporto sono aridi. Per esempio, a uno feci notare che io volevo essere cagna e lui mi fece notare che no, “non lo decidi tu, sono io a decidere”. Voleva dunque che io facessi la gatta, animale che io, tra parentesi, odio. Mi disse: “Pensa, anche io detesto i gatti, quindi immagina cosa mi tocca fare solo per te. Dunque, adesso, dovrai imparare a miagolare e a muoverti come loro. E poi i tuoi bisogni li farai nella lettiera”. Io mi opposi a quest’ultima idea, soprattutto perché non mi piace fare certe cose di fronte a un uomo. Lui rispose solo “Imparerai”. Alla mia insistenza, rispose dicendo “Vedrai che dopo due o tre giorni la farai lì dentro”. Io gli dissi: “Ma guarda che, dopo, devi pulire tu dove sporco”. Replicò che l’avrei fatto io e poi aggiunse: “Ma sai qual è la cosa più bella? Che nel momento in cui scoprirai che ti piacerà e ti ecciterà essere la mia gatta, quel giorno, smetterai di esserlo e diventerai il mio cane”. Ecco, questo era un figo, perché sapeva come prendermi, sapeva usare le parole, sapeva fottermi la testa…
In sostanza, uno deve priva schiavizzarti a mezzo dell’abilità con la parola?
Più che altro, inizialmente, deve farmi capire che mi trovo davanti a un dominante vero e non a un segaiolo, come sono il novanta percento, che vogliono solo menarselo mentre ti fanno spogliare. Ai veri dom, di questo non frega niente. A loro piace proprio il fatto di avere potere su di te. Io lo capisco subito, se lo sono veramente. Non mi piacciono quelli – e sono la maggior parte – che, pur essendo super dominanti, hanno moglie e quindi sono schiavi di una doppia vite e delle bugie che devono inventarsi; proprio come non sopporto quelli grassi e schiatti – se l’aspetto fisico è grottesco, io non riesco, perché ho gli occhi e si sa che anche quelli vogliono la loro parte. Poi, purtroppo, quei pochi che si salvano, anche se sono single, non riescono a contemplare una relazione oltre il BDSM, quindi vedono il rapporto non come relazione ma come sessione.
L’ultimo tu padrone?
L’anno scorso. Però, purtroppo, è venuto a mancare e non ho più trovato qualcuno come lui. L’ultima persona che ho incontrato, devo dirlo, anche se non ho sporto denuncia, mi ha violentata e mi ha detto che questo era BDSM. Ma, da un po’ di tempo, sto riflettendo, anche con l’aiuto di altre persone, e sono giunta alla conclusione che sia veramente difficile mantenere un rapporto che possa essere d’amore e, al contempo, sadomaso.
Matteo Fais
Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais
Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734
L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Praticamente questa tizia è ossessionata dai famigerati maschi alpha, contenta lei ! Onestamente non ho mai capito cosa si intende per ” dominante” , dalle mie parti se fai l’ arrogante ti ritrovi a fine mese con parecchi denti in meno. Quindi credo che dipenda dal contesto, in camera da letto mi pare anatomicamente normale una certa dominanza maschile visto le forze in gioco 😉.
Grazie Matteo per il Tuo profondo e toccante preambolo al nostro colloquio.
Per me, una Relazione sm è la magia di una Donna che desidera donarsi completamente e senza riserve, felice di farlo per l’Uomo che la farà Sua facendola sentire unica e invincibile, portandola sull’orlo di un ‘precipizio’ fino a farle sentire il senso di vertigine, nella consapevolezza che mai e poi mai la lascerà cadere nel vuoto.
L’abbandono, la cura, la fiducia, la sinergia creata da due corpi che parlano all’unisono, la complicità, la totale conoscenza ed unione delle proprie anime nude senza freni, senza timori, affiatate, prive di ogni maschera, difesa, perbenismo, appiglio che non sia il nostro volere, perché siamo noi stessi, solo noi stessi, spontanei e reali.
Spesso si pensa che il bdsm abbia un fine sessuale, senza un’anima, ma per come la vedo io è espressione della nostra vera essenza, avendo la sensazione di rinascita ad ogni incontro, ad ogni sfioramento, ad ogni sguardo.
Che ci si trovi chiusi in una stanza, che si passeggi per strada vicini o lontani, il senso di Appartenenza riempie un vuoto che altrimenti esisterebbe e ci toglierebbe il fiato.
L’appartenenza è un legame esclusivo e privato votato alla complementarità ispirato dalla consapevolezza dei propri ruoli e fondato su disciplina fiducia è reciproca devozione.
Quando trovi ‘Lui’ l’unione è magia.
Pertanto i rapporti estemporanei e poco profondi possono stimolare solo persone impegnate che non comprendono il valore e la fortuna di trovare chi lo corrisponde perfettamente.
Si tratta di un lungo cammino di consapevolezza, un tentativo di aprirsi a livelli sottili di consapevolezza, ora che sono arrivata piuttosto avanti in questo sarebbe necessaria la presenza di un vero compagno che non sia semplicemente un amante, quando piuttosto la sintesi di diversi elementi, consapevole che sotto la Sua guida possa approdare a diversi e superiori stati dell’essere.
“Un Uomo” il testo scritto da Eugenio Finardi lo descrive a grandi linee.
E.
Ragazzi mi dispiace ma qui c’è una donna che si eccita nel vedere scene di stupro. Potete ricamarci sopra quanto volete, ma sempre stupro è. Poi ognuno puo fare come gli pare. Ma queste rimangono turbe mentali anche se le esprimete in modo toccante.
Si è costruita sopra tutta una filosofia interessante ma, di fatto, sono stati sublimati degli abusi.
Voi del detonatore siete bravi a denunciare le problematiche sociali. Ma quando toccate le relazioni di coppia non fate che esaltare situazioni anomale. Sembra quasi che volete far sentire inadeguate le persone dentro relazioni serene (pur con le normali difficoltà) Guardate che non c’è niente di male!!!
Ah! Ok! Questa è ammaliata dalle scene di stupro e tortura di Arancia Meccanica, ha la passione per il sesso estremo, ma poi, sostiene di essere stata “violentata” da un dominatore. Tutto regolare proprio!
Che pena.
Tanti giri di parole, sostegno di un immaginario povero e ripieno di sovrastrutture mentali grottesche, per nascondere una solitudine esistenziale estrema. Parla di pienezza di vita, di percorso conoscitivo, ma racconta la storia di qualcuno che si rifugia in una pantomima disperante di sciocchezze assurte a strumento supremo.
Ehi, Fuffy, sei tutta fuffa e niente arrosto, acchiappa due croccantini e fila a posto!