LA GIOCONDA IMBRATTATA E IL DISAGIO DELLA CIVILTÀ (di Matteo Fais)
Madonna mia, che disagio! Pensateci: un uomo entra al Louvre, a Parigi, su una sedia a rotelle, fingendosi portatore di handicap. Sotto una coperta, nasconde una torta. Giunto davanti al più noto dipinto al mondo, tira il dolce contro di esso. Arrivano le guardie. Lui inizia tutto un delirante discorso sulla salvaguardia del pianeta, mentre sparge rose intorno a sé.
Non so se avesse ragione Theodore John Kaczynski, quando scriveva che la società industriale e la rivoluzione che l’ha generata siano state un disastro per la razza umana. Dipenderà davvero dal fatto che abbiamo iniziato a produrre in serie, a lavorare ammassati in delle fabbriche, per poi trovarci oggi, almeno in Occidente, a comandare tutto da remoto in smart working? Difficile a dirsi, ma certamente qualcosa è andato storto.
E fosse solo quanto successo alla Gioconda! L’altro giorno, un articolo raccontava di questa ragazza, tale Fenella Fox, inglese, che avrebbe guadagnato 350 mila euro, su OnlyFans, vendendo foto delle sue ascelle pelose. Certo, che qualcuno sia interessato a comprare immagini simili è inquietante – tra l’altro, mi sono sempre domandato perché non usino Google, visto che è a gratis. Ma la cosa forse ancora più spaventosa del numero di pervertiti cretini – fossero solo pervertiti, poco male – è l’odio che la tizia riesce a scatenare su di sé. C’è gente che le scrive per insultarla. Addirittura, qualcuno le invia minacce di morte. Sorge spontaneo domandarsi che cazzo di problemi mentali possa avere uno per dare corso a una crociata contro quelle che vendono schifezze simili.
La gente sta male, molto male. Il pensiero che la fuori ci sia qualcuno che sogna di imbrattare la gioconda per salvare la Terra, di comprare foto di ascelle pelose, o di massacrare una che vende immagini di queste non dovrebbe lasciar dormire sereni. Che diavolo sta succedendo? Sono tutti impazziti?
Beh, se non sono tutti, poco ma sicuro si tratta di un numero preoccupante. Oramai, non ce n’è uno che non si faccia di psicofarmaci – dico farsi perché, in ultimo, di droghe si tratta, poche balle –; che non abbia una sindrome dal nome impronunciabile, tipo quella di Greta Thunberg; che non sia vittima di una qualche dipendenza – addirittura, esiste quella dalla pornografia, con gente che arriva a farsi dieci seghe al giorno.
Weber dice, in un suo testo, che il contadino romano, diversamente dall’uomo moderno, vive entro un orizzonte di senso e muore sazio della vita, avendone attraversato a pieno tutte le stagioni. Difficile stabilire se quella del filosofo non sia unicamente un’idealizzazione, come più o meno è tutta la Storia, visto che nessuno di noi c’era o può ragionare secondo la mentalità dell’epoca. È sicuro unicamente che una simile idea non sarebbe sovrapponibile al nostro presente.
La ragione sta tramontando e l’essere umano, palesemente, escluse rare eccezioni, è sempre stato poco propenso al farne uso. L’emozione, non importa se positiva o negativa, è stata ogni volta più gettonata. Il problema, a ogni modo, è soprattutto uno: quasi mai il soggetto disagiato individua il reale bersaglio da colpire, scambiando un’insignificante manifestazione con la causa originale, come se, in luogo di prendersela con il falegname che gli ha consegnato un tavolo fatto male, si armasse di martello e spaccasse il mobile tra urla, strepiti, pianti e rumore di legno che esplode. Non ci siamo proprio, così non si ottiene niente. Questa è solo follia e ne siamo già abbastanza circondati.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.