UN LIBRO PER SCOPRIRE LA FREGATURA DEGLI INFLUENCER (di Matteo Fais)
Dimenticate per un attimo che lui sia il Direttore di “Domani”, quel giornale che è cacata carta, per dirla con Catullo, ovvero carta imbrattata di merda. Lasciate anche perdere che di cognome faccia Feltri, ma non sia lo spumeggiante Vittorio, bensì Stefano, Stefano Feltri, e la sua prosa risulti pesante quanto la cantilena del prof sfigato che, alle superiori, vi ammorbava con le sue spiegazioni, alle 8 e 30 di mattina.
Il Direttore, bisogna riconoscerlo, ha scritto un testo che presenta un qualche merito, quanto meno sul piano contenutistico. Si parla di Il partito degli influencer (Einaudi). Il volume è molto ben documentato sull’argomento di questi inutili signori nessuno che, senza né arte né parte, riescono comunque a calamitare l’interesse delle masse e, quel che è tragico, a orientarne le scelte.
Sotto la lente di ingrandimento finisce tutto questo assurdo mondo di figuri, dell’età più varia, che è riuscito a guadagnarsi una qualche visibilità social. Che siano noti come i Ferragnez, o decisamente più dimensionati, conta davvero poco. Anzi, l’autore ci aiuta a capire come, per promuovere certi articoli o contenuti, siano forse meglio influencer più di nicchia, con una platea ristretta – dato anche il loro minore potere contrattuale e, di conseguenza, costo sul mercato.
Ma, perché la gente si fida di uno sconosciuto venditore di fuffa? Fondamentalmente, perché lo ritiene sincero. È un po’ come l’amico che ti consiglia una macchina, o un medico a suo dire particolarmente bravo per risolvere un certo problema di salute.
“Aziende e politici hanno capito che la merce piú preziosa sui social è l’autenticità, ma poiché è rara hanno iniziato a cercare di riprodurla in modi sempre piú spregiudicati”. Insomma, chi segue un influencer lo fa perché ritiene che i suoi suggerimenti siano consigli e non pubblicità – altrimenti andrebbe su un’altra pagina, come un tempo e ancora oggi si cambia canale quando ci sono gli spot.
Il punto è che di rado uno di questi incantatori di fessacchiotti rende note le sue partnership commerciali. Un esempio è il caso di Fedez: “Se Fedez parla male di Mediaset, rischia di perdere la piattaforma di sbarco cruciale per i talenti che gestisce per il mondo dei talent e dei reality, poi c’è Amazon, per la quale Fedez è sia testimonial che protagonista dello show Lol, e poi Disney, gli accessori scolastici della Seven, Coca-Cola, la piastra per capelli Ghd… E questo soltanto per stare ai marchi visibili dal profilo Instagram della Doom (@doom_entertainment, Dream of Ordinary Madness, la società di gestione di talenti che fa capo a Fedez e ai suoi investitori), sul sito l’elenco delle «brand partnership» è molto piú lungo e include un po’ tutto, da Google a Intesa Sanpaolo a Dior a Danone”. Manco a precisarlo, “nessuno di questi rapporti di affari è immediatamente percepibile a chi segue il profilo principale Instagram di Fedez”.
Meglio chiarire, comunque, che quest’ultimo non è il solo e che tante sono le aziende, oltre che i politici – ecco la vera questione -, ad avvalersi di tali promotori. L’ha fatto Trump, ma pure Biden – e, miracolo, Feltri lo riconosce: “Una volta arrivato alla Casa Bianca, Joe Biden ha cambiato approccio e ha puntato sugli influencer, invece che sulle celebrità tradizionali, per una grande campagna a favore della vaccinazione destinata soprattutto agli americani piú giovani. Tramite due società di influencer marketing – Village Marketing e Made to Save – la Casa Bianca ha coinvolto influencer attivi su Instagram e soprattutto su TikTok per diffondere messaggi a sostegno del vaccino”. Il saggista arriva addirittura a precisare che “anche se per un nobile fine, sempre di propaganda politica via social si tratta, cioè di una distorsione di quello che sarebbe il dibattito spontaneo online per perseguire una finalità politica”.
Tra le altre cose, un particolare poco noto, di cui si viene a conoscenza leggendo, è che anche in un Paese comunista come la Cina e nei peggiori regimi mussulmani, esistono gli influencer, i quali sono ovviamente al soldo dei regimi in questione. Alcune volte, a quanto pare, certi di quelli occidentali sono stati portati in loco, in cambio di un viaggio tutto pagato e qualche soldino, in modo da trasmettere un’immagine positiva all’estero.
In tal senso, il testo di Feltri è molto ben strutturato e ricco di preziose informazioni, oltre a risultare qualcosa di molto vicino a uno studio politicamente imparziale del fenomeno – cosa insolita considerati i circoli intellettuali da cui proviene l’autore. Cionondimeno, il suo saggio è minato nelle fondamenta dalla solita prospettiva marxista e deresponsabilizzante che caratterizza, distorcendolo, l’angolo visuale da cui guarda al problema.
Feltri è convinto, come tutti i sinistri, che gli altri siano dei beoti vittime della propaganda, mentre lui e pochi illuminati farebbero parte della classe intellettuale dotata di uno sguardo segnato da una superiore lucidità. Il suo è il tipico determinismo sociale da circolo di partito. Il Direttore non ha ancora capito, per dirla con Sartre, che “non esistono condizionamenti, solo persone che si fanno condizionare”. Per chiarire con un esempio, si potrebbe dire che la propaganda e il condizionamento sono un po’ come la seduzione. Qualunque uomo con un minimo di esperienza di vita sa che è totalmente inutile cercare di sedurre una donna che non aspetti se non di essere sedotta da lui. Solo su di questa, complimenti, fiori, messaggi, e sguardi languidi sortiranno un qualche effetto, mentre in tutti gli altri casi si risolveranno unicamente nel mettersi in ridicolo. Non c’è “arte del saperci fare” che valga con chi non ci mette nelle condizioni di attuarla e anche il più timido dimostra una spavalderia alla Humphrey Bogart, se la donna che gli sta di fronte lo fa sentire a suo agio.
In buona sostanza, solo un fesso può seriamente ritenere che “perfino piattaforme pubblicitarie viventi come i Ferragnez vengono percepite dai loro follower come persone normali molto popolari, invece che come imprenditori dell’intrattenimento che – letteralmente – mettono all’asta la loro influenza”. Se uno non ha compreso che quelli lì non sono come il tuo vicino di casa che ti consiglia il suo dentista, ma stanno lavorando da pubblicitari, inutile anche perdere tempo a spiegarglielo: è un povero cretino. Esattamente come chi compra un libro perché lo segnala un bookinfluencer che recensisce, in media, tra i tre e i cinque testi al giorno – chi cazzo potrebbe seriamente prestargli fede, se non un idiota?
Nel mondo, si sa, esistono i furbi perché ci sono i coglioni, ma la colpa è sempre da attribuire a questi ultimi. Se deleghi la tua attività deliberativa a uno come Fedez, o alla moglie, in ultimo, è difficile dare loro la colpa. Sei a livello di una che andasse a cercare, da Rocco Siffredi, una relazione monogamica piena di dolcezza: da ricovero.
Altro che “Ogni democrazia va sotto stress quando le opinioni di pochi soggetti possono condizionare quelle di altri, che poi traducono le loro opinioni anche in voti, alle elezioni. E se dietro queste opinioni ci sono interessi economici ben mimetizzati, allora la questione si fa seria”. Chi si fa condizionare è colpevole, se possibile anche di più di chi lo prende in giro.
Del resto, fa sorridere leggere l’autore che, in luogo degli influencer, cita i giornalisti come esempio di serietà e deontologia professionale. Nel loro caso, il principio fatto valere per gli altri cadrebbe: “perché tutti i lettori informati della consulenza penseranno che quel giornalista non è intellettualmente libero (o onesto) quando tratta argomenti che riguardano un tema caro a chi gli paga una cifra considerevole”. E chi sarebbe il giornalista, tra quelli più noti, a non essere a libro paga di qualcuno? Certo che, per scrivere certe eresie, ci vuole una discreta faccia da cazzo!
A ogni modo, al problema della pubblicità occulta è difficile trovare una soluzione ragionevole, a parte quello di far pagare le tasse – e non ci sono motivi per dubitare che i Ferragnez, come tanti altri, lo facciano. Poi, insomma, per indagare eventuali scambi di favori, come quello che descrive lui stesso, ci vorrebbe un apparato di spionaggio che neppure il KGB (“Ma che succede se due autori di libri si scambiano recensioni incrociate? Tizio parla bene del libro di Caio perché si è messo d’accordo e poi sarà Caio a parlare bene del libro di Tizio”). Campa cavallo!
Il testo, comunque, si può leggere ed è utile farlo, per apprendere tutta una serie di dati utili, anche intorno alle tante magagne legate ai social network che, smaccatamente, favoriscono questi personaggi. Basta dimenticare il nome dell’autore, il giornale che dirige e le sue rozze teorie sull’intenzionalità umana.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.