TUTTI I GRANDI SCRITTORI SONO DI DESTRA, CE LO SPIEGÒ RABONI (di Matteo Fais)
Sembra ieri, invece, sono passati vent’anni. La decadenza culturale era già ampiamente avviata e prossima a consolidarsi. Uno degli ultimi scampoli di ciò che fu il nobile e acceso dibattito culturale nazionale si ebbe sulle colonne del “Corriere” – prima che questo divenisse, in adeguamento al clima culturale diffuso, la latrina a cielo aperto che è al momento.
Era il 2002. I critici, Guglielmi e Merlo, discutono in merito a un giudizio, apparentemente non proprio lusinghiero, espresso dal primo, su “L’Unità”, riguardo a Umberto Eco. Nella polemica si inserisce Raboni con un articolo, fino a oggi inedito, inviato al caporedattore della redazione Cultura del “Corriere”, Francesco Cevasco, e non pubblicato per una questione di quieto vivere interno al giornale. A questo farà seguito, pochi giorni dopo, un secondo intervento, oramai passato alla storia, in cui il poeta sostiene, contro il cliché dominante, la nota tesi a cui, poi, qualsiasi intellettuale non di Sinistra, da allora, si aggrapperà ogni volta che si sente prossimo a cadere nel baratro, ovvero che, a livello internazionale, tutti i più grandi scrittori sono in realtà riconducibili a un qualche filone della Destra.
Per ricostruire il clima culturale del periodo, niente potrà risultare più utile di I grandi scrittori? Tutti di Destra, un testo recentemente pubblicato da De Piante Editore, una piccola casa editrice che, in un paese normale, dovrebbe ricevere i più grandi riconoscimenti pubblici per il suo operato. Il volume, stampato in trecento copie – non perdete tempo e correte a comprarlo – ripropone gli articoli in questione di Raboni e, a mezzo dei preziosi saggi di accompagnamento di Luca Daino e Franco Cardini, fa il punto della questione su quanto successo allora e gli sviluppi del dibattito sulla cosiddetta egemonia culturale. Vale la pena consultarlo sia per chi già in illo tempore era presente con la coscienza, per riconsiderare il tutto da una prospettiva temporale tristemente sempre peggiore, e per i più giovani, così da comprendere che un tempo, sui giornali, si parlava anche di qualcosa di diverso dalle emissioni di gas intestinale in casa Ferragnez.
Impossibile, in uno spazio ridotto, dare conto di tutti i temi che queste dense sessanta pagine sollevano – leggetele, per favore, leggetele. Un paio di punti, però, risultano di massimo interesse, anche perché, a oggi, restano malauguratamente incompresi.
Pensate quanto poteva essere avanti il poeta milanese per “rivendicare in astratto a un qualsiasi critico di sinistra il diritto di parlar male di un qualsiasi scrittore (oppure musicista, pittore, attore, regista cinematografico ecc.) di sinistra ogni qual volta che gli sembri giusto e opportuno farlo in base alle proprie convinzioni estetiche o culturali”. Altro che menarsela vicendevolmente con peana d’ufficio, sulle loro testate, da “Repubblica” a “Domani”, dicendosi l’un altro “Ma quanto sei bravo, caro compagno”. Raboni, quando c’era da dir male di Dario Fo o Nanni Moretti, rifiutava la marchetta per la verità, perché, nelle sue parole, “Siamo già messi così male che non mi sembra il caso di costringerci, come sovrappiù, ad ammirarci l’uno l’altro”. Davvero, altri tempi e altri uomini!
Per non parlare delle scandalose parole contenute nell’articolo più famoso che dà il titolo al volume. Vere e proprie bestemmie gridate durante l’omelia, nella chiesa piena, di domenica mattina. Oggi, sembra folle anche pensarlo che una delle punte di diamante della Sinistra sostenga pubblicamente la non sussistenza di “un nesso consolidato e in qualche modo fatale fra l’essere scrittore e l’essere «di sinistra»”. Se l’avesse detto di questi tempi, Scanzi gli avrebbe fatto comminare un TSO.
E cosa dire della lucidità di un intellettuale che ha l’ardire di richiamare la sua parte politica alle responsabilità per i nefasti esiti che ha prodotto l’indebita assimilazione tra letteratura e Sinistra: “conseguenze di questa credenza o diceria è l’atteggiamento di incomprensione se non di rifiuto, di estraneità se non di malanimo, di diffidenza se non di disprezzo nei confronti dell’intera categoria, ravvisabile in larghi strati dell’opinione pubblica piccolo borghese”.
Anche se, il punto di massima rottura, quello che quasi nessuno potrà comprendere per la sua finezza, si ha quando il poeta spezza il nesso tra ideologia e creazione: “cercare di liberarsi da un altro ancora più insidioso pregiudizio, quello secondo cui una persona di sinistra che scrive libri è ipso facto uno scrittore di sinistra e una persona di destra che scrive libri è ipso facto uno scrittore di destra”. Insomma, la creazione letteraria non è un prodotto ideologico, se è vera creazione, e può addirittura essere in aperta contraddizione con ciò che si professa sul piano politico.
Troppo, troppo per questo nostro tempo. Si può ragionevolmente pensare che, oggi come oggi, difficilmente un caporedattore di quei giornali, oramai peggiori della maggior parte dei blog, accetterebbe qualcosa di simile, almeno non più di quanto sopporterebbe uno sputo in faccia.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Mondo che già mai stato fatato giardino di delizie… peggiorato assai da giorno in cui geniale manipolatore asservito oligarchie finanziarie… ebbe formidabile pensata… dividere bipedi idioti in due fazioni inconciliabili seppure del tutto fittizie… destra e sinistra…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/