CI MANCAVA SOLO IL PUTINISMO GASTRONOMICO CON RELATIVO REFLUSSO ANTIAMERICANO (di Davide Cavaliere)
I «putinisti» gastronomici hanno esultato per la chiusura di McDonald’s in Russia, inneggiando rusticamente al «pane e salame» e alle «paninoteche degli anni ’80». A me, al contrario, i ristoranti della colorata catena americana sono sempre piaciuti, soprattutto per via di quella gigantesca M gialla.
Da bambino adoravo l’Happy Meal, con la sua confezione sorridente, e anche se trovavo scialbo il panino rispetto alla sua presentazione pubblicitaria. Lo addentavo con piacere, apprezzandone persino l’amara fetta di cetriolo che i miei coetanei scartavano con disgusto.
Dopo una lunga parentesi vegetariana sono tornato in un McDonald’s solo durante il periodo universitario. Il tempo trascorso non aveva modificato il mio giudizio sul posto.
L’avversione per McDonald’s, così come quella per Starbucks, è un reflusso gastrico causato da un’America mai digerita. Infatti, accomuna fascisti e comunisti, nazionalisti culinari e terzomondisti iscritti a Oxfam. Per Sartre, gli Stati Uniti avevano la rabbia, adesso hanno il cheddar, ma rimangono ugualmente pericolosi. È anche un’espressione di gretto provincialismo. Non a caso, negli anni Settanta, alle manifestazioni anti-fast food, insieme ai militanti del FUAN e a quelli delle FGCI, ci andavano anche caratteristi e comici popolari come Franco Lechner e Giorgio Bracardi.
Al banale sentimento anti-hamburger, in anni più recenti, hanno contribuito anche i salutisti, vere e proprie disgrazie dell’umanità, che accusano il capitalismo e la modernità di «riempirci di schifezze». Insomma, a sentir loro il XX secolo ci avrebbe avvelenato, eppure la durata della vita media alla nascita, rispetto ai secoli precedenti, è quadruplicata.
La ragione per cui amo i ristoranti McDonald’s è proprio per il loro essere smaccatamente anti-italiani e anti-gourmet. Sono un’oasi di pace dalla nostra cucina, dai suoi eterni dilemmi e dalle sue esorbitanti pretese. I panini della catena americana sono un prodotto standard, che non richiede di essere «impiattato» e «assaporato». Chiuso nel suo cartoncino, il cheeseburger «mcdonaldiano» non si presta nemmeno a essere fotografato, per fortuna.
Poche cose mi ammorbano come la sacralizzazione della cucina nazionale e lo «cheffismo» imperante. Sarei curioso anche di assaggiare gli insetti e mi auguro che questo settore alimentare sia liberalizzato, alla faccia dei tradizionalisti e di Confagricoltura. Non ho mai nemmeno capito perché McDonald’s rappresenterebbe una forma di «degrado» alimentare, come se non fossero degradanti e rimbecillenti le discussioni tra partigiani della pancetta e partigiani del guanciale, le abbuffate televisive, i culti della pizza e della parmigiana.
Il cibo di McDonald’s, per il semplice fatto di essere una multinazionale americana, non certo per la qualità, dato che la filiera dei prodotti utilizzati nei ristoranti è italiana all’80 per cento, non si presta alla fenomenologia della panza piena nazionale. Dunque, quale modo migliore di sfidare il nazionalismo banal-pentolaro, che quello di affondare i canini in un americanissimo hamburger?
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
Antiamericanismo gastronomico. E allora?
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Sarei curioso anche di assaggiare gli insetti e mi auguro che questo settore alimentare sia liberalizzato, alla faccia dei tradizionalisti e di Confagricoltura.
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Assaggiali pure, se ti va.
Liberissimo di farlo.
Per quanto mi riguarda seguiterò a mangiare la lasagna, le ciriole, i tortellini, i cannelloni. etc.
Poche cose mi ammorbano come gli italiani esterofili, convinti che l’erba del vicino sia sempre più verde.
Saluti.