UNA MASCHERINA È PER SEMPRE (di Matteo Fais)
Se fossimo in un film di Woody Allen e non in Italia, rideremmo a crepapelle di un personaggio che, afflitto da mille paturnie e nevrosi, ha paura di tutto, teme le relazioni come il cancro e il cancro come le relazioni, passando le giornate a tormentarsi al pensiero della fine imminente. Il problema, però, è che siamo in Italia e questo lung(hissim)ometraggio sulla nevrosi pandemica non fa per niente sorridere.
Con la mascherina, non è finita e non finirà presto, probabilmente neppure dopo il 15 giugno. Dopo due anni di lockdown, ce ne vorranno, ad andare bene, almeno venti per riprendersi sul piano psicologico – probabilmente, dovrà vedere luce una nuova generazione. L’obbligo dello straccetto è caduto all’aperto, ma la gente per strada continua a indossarlo con maniacale accanimento, quasi senza accorgersene, come il soldato si porta appresso il fucile, o il poliziotto in servizio la pistola.
Tutto ciò è chiaramente dipeso da un problema psichiatrico che esula da qualsiasi questione sanitaria. Il virus non circola per aria come un proiettile impazzito; in uno spazio arieggiato non vi è alcuna necessità di tutelarsi da particelle pericolose – a meno che non si parli di quelle derivanti dall’inquinamento –; e, palesemente, un dispositivo di protezione, a meno di essere usato in particolari ambienti e venir cambiato con regolarità, può solo trattenere batteri e altre schifezze con cui si entra in contatto. In sostanza, la mascherina è malsana.
Possibile che quasi nessuno l’abbia capito? A quanto pare, sì. La mascherata non finirà perché la maschera è un simbolo di dominio che, sul singolo, diviene esibizione di appartenenza. Come il soldato dell’esempio, o il poliziotto, la cui arma comunica una costante dedizione nella lotta contro i nemici, o per il rispetto delle regole, così l’uomo solo, che circola nel parco deserto indossando la pezza sanitaria, sembra dire “Io del covid non mi dimentico e sono sempre all’erta, coinvolto fino all’ultimo nella battaglia per debellarlo”. Perciò, anche se gli dicono che l’obbligo è venuto meno, lui insiste. Finalmente, ha trovato un senso in qualcosa di più grande, che va oltre la sua stessa persona e lo coinvolge anche nel momento in cui gli altri non sono presenti. La maschera è, insomma, l’emblema di un’ideologia, come il fazzoletto verde per i leghisti, quello rosso per i comunisti, o il garofano per i socialisti.
L’uomo costretto a togliersi la maschera è un essere che non lotta più, uno smobilitato, un reduce incattivito, come quelli che tornavano dalla Prima Guerra – da qui tutta la retorica affine, appunto, ai periodi di conflitto e dai cui influssi è poi difficile dimenticarsi. Come il veterano, anche il covidiota non può tornare facilmente alla vita civile, dismettere la sua personale divisa per rindossare gli abiti civili e borghesi. Anzi, portarla anche lì dove tutti la rifiutano gli dà il senso della costanza: lui ha lottato fin dal principio, con fede incrollabile, e continua, alla faccia di tutti gli imboscati-traditori. Credere, obbedire e combattere: ho fede nella Scienza, mi attengo al protocollo sanitario, guerreggio contro il covid con maschera e vaccino.
Il mascherato è un traumatizzato, similmente al vecchio che, vedendo i fuochi d’artificio, si ricorda le bombe durante la guerra, e sappiamo bene come certa gente – la maggior parte, invero –, pur essendo afflitta da un trauma, si attacchi sovente a questo, fino a scarnificarsi le unghie, per continuare a vivere. Rinascere e ricrearsi, è difficile per l’essere umano. Se poi Woody Allen ha capito che, non potendo guarire da sé stesso, poteva almeno riderci su e far ridere gli altri, l’italiano non è dotato di altrettanta ironia. Egli è marziale nell’idiozia e morirebbe pur di non ammettere di essere stato preso per il culo.
No, la sceneggiata di carnevale non finirà. I più la vogliono, non la patiscono, e sperimentano il senso di una qualche appartenenza, un eroismo a 50 centesimi a bustina. Sì, sono pazzi o, per usare un sinonimo, italiani.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.