“TI AMO, MAGGIE”: ELOGIO SPERTICATO DELLA THATCHER, UNA DONNA CONTRO IL SOCIALISMO E L’UNIONE EUROPEA
Otto anni fa moriva Margaret Thatcher, soprannominata la Lady di ferro dal giornale dell’esercito sovietico per via di un suo intransigente discorso sull’Unione Sovietica, annoverata tra i grandi statisti del secolo scorso.
Giunta al numero 10 di Downing Street nel 1979, ereditava un ex impero in declino, moralmente stanco, fiaccato da un’economia socialista, in piena crisi inflazionistica: i prezzi erano in così rapida salita che fu necessario imporre un tetto massimo ai salari. Era il celebre Winter of Discontent.
Una volta alla presidenza, affrontò con risolutezza le cause del costante disfacimento economico inglese, spesso entrando in contrasto con diversi membri del Partito Conservatore.
La Thatcher, che in gioventù aveva letto le opere del pensatore liberale Friedrich A. Hayek, mise in atto una serie di riforme orientate al libero mercato, volte ad attirare i capitali stranieri e a ridimensionare il ruolo dello stato.
Sebbene le prime misure produssero un aumento della disoccupazione – vinse le successive elezioni per via del modo in cui gestì l’invasione delle Falkland, non per le ricette economiche – dopo undici anni di governo, la Lady di ferro riuscì a risanare l’Inghilterra. La disoccupazione diminuì al 6,2 per cento, il tasso di occupazione crebbe di oltre 7 punti percentuali, l’inflazione scese dal 18 al 5 per cento e il Pil pro-capite crebbe del 25 per cento.
Sulla Thatcher pesa l’accusa di aver sdoganato il neoliberismo aziendalistico e iper-individualista. In realtà, il liberismo thatcheriano fu sempre legato all’idea di nazione e alle tradizioni locali. Si trattò di un liberismo rivolto ai produttori, non agli speculatori. Il liberalismo astratto e finanziario sarebbe arrivato col New Labour di Tony Blair.
Come disse in un discorso alla Zurich Economic Society nel 1977, «Il successo economico del mondo occidentale è un prodotto della sua filosofia e pratica morale». Il successo economico della civiltà occidentale, per la Thatcher, era il prodotto di una filosofia morale che metteva al centro l’individuo, la unicità e la sua libertà: «Sicuramente questo è infinitamente preferibile alla filosofia socialista-statalista che istituisce un sistema economico centralizzato a cui l’individuo deve conformarsi, che lo soggioga, lo orienta e gli nega il diritto alla libera scelta».
In politica estera, insieme all’alleato americano Ronald Reagan, che affettuosamente chiamava «Ron», the Iron Lady contribuì in modo decisivo alla caduta del comunismo, fu durissima nel reprimere il terrorismo dell’IRA, tanto che, nel 1984, fu vittima di un attentato a Brighton – l’albergo dove alloggiava venne fatto esplodere -, uscendone miracolosamente illesa e arrabbiata.
Ciò che affascina di Margaret Thatcher è la sua visione etica prima ancora che politica. Rimise l’individuo al centro dell’azione di governo, senza mai alienarlo dalla comunità nazionale. In tal senso, fu debitrice al pensiero di Sir Isaiah Berlin, che scrisse: «non sono mai stato tentato, nonostante la mia lunga devozione alla libertà individuale, di marciare con chi, in suo nome, rigetta l’appartenenza a una particolare nazione, comunità, cultura, tradizione, lingua: la miriade di aspetti inanalizzabili che stringono gli uomini in gruppi identificabili».
La Thatcher aveva ben chiaro il «dilemma di Böckenförde». Se la democrazia liberale non è più in grado di regolarsi autonomamente, «a partire dalla sostanza morale del singolo individuo», lo Stato cercherà di «garantire da sé queste forze regolatrici interne attraverso i mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali».
Il liberalismo deve poggiare su solide «virtù civiche», se non vuole degenerare in mero economicismo e smettere di produrre ricchezza per tutti. Questo è il senso del liberalismo conservatore.
Scettica e realista, fiduciosa nell’ordine spontaneo e diffidente nei confronti delle strutture tecniche e burocratiche lontane dal «cuore» dei popoli, si oppose con forza alla moneta unica e alla creazione di un «super stato» europeo: «L’Unione europea è un progetto utopico classico, un monumento alla vanità degli intellettuali, un programma il cui inevitabile destino è il fallimento».
Amore per la libertà e devozione al passato, orgoglio nazionale e rifiuto del centralismo nazionalista, libero mercato e religioso senso di responsabilità. All’Italia è mancata e manca una Thatcher. Se l’avessimo avuta, con tutta probabilità, non saremmo precipitati nell’abisso dei «lockdown» e del «green pass».
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.