ORBÁN, NEL BENE E NEL MALE (di Davide Cavaliere)
In Ungheria trionfa Viktor Orbán, ma soprattutto vince l’orbanismo, quella singolare mescolanza di nazionalismo magiaro, conservatorismo e opportunismo. Orbán, infatti, sebbene filorusso, ha chiesto alla presidente della Commissione europea di sbloccare i fondi miliardari destinati alla sua nazione e sospesi circa un anno fa per via della legge sulla propaganda LGBT.
Niente di nuovo. Il trasformismo è la cifra di quello che viene definito «Orbanistan», che riflette il mutamento politico del suo comandante in capo. Nel corso della sua carriera, Orbán si è spostato dal liberalismo verso un nazionalismo ben poco radicato nel pensiero e nella prassi democratica, pur senza mai abbandonare né l’Unione europea né il Partito Popolare Europeo e men che meno l‘Alleanza Atlantica.
Orbán gioca da sempre su più tavoli, indossando di volta in volta i panni più congeniali alla situazione, un funambolismo ideologico che lo sta isolando sempre più non solo nella UE ma anche all’interno del gruppo euroscettico di Visegrád.
Nonostante questi punti di debolezza, oltre a un certo «putinismo», l’Ungheria non è uno Stato fascista come vorrebbero alcuni semplificatori di professione né il suo presidente una reincarnazione di Miklós Horthy. Il motivo per il quale Orbán è inviso alla UE riguarda il suo rifiuto di sottomettersi all’idea di «progresso» che le istituzioni europee pretendono di incarnare. Idea che ha al proprio centro l’utopia di un mondo senza identità.
Per questa ragione, non per antisemitismo, Orbán si è contrapporso a George Soros e alla sua tentacolare Open Society Foundations, la quale lavora alacremente un mondo post-nazionale. Anzi, l’Ungheria è uno degli Stati più vicini a Israele e, secondo Daniel Pipes, il posto più sicuro per gli ebrei osservanti d’Europa. Mentre in Francia, nella patria dei diritti dell’uomo, una donna ebrea può essere scaraventata impunemente fuori da una finestra.
Il conservatorismo ungherese, sebbene fiaccato da un certa dose di illiberalismo, è un caso studio interessante – sarebbe anche interessante discutere se sia meno liberale Orbán di una burocrazia sovranazionale con un’agenda totalitaria interessata financo alla vita sessuale dei suoi sudditi.
Le politiche anti-progressite dell’Ungheria non bastano a fare del paese una «capitale del conservatorismo» come vorrebbe qualcuno. Per diventare un vero leader delle Destre europee, Orbán dovrà chiarire alcune opacità, soprattutto per quel che concerne la collocazione internazionale: con la NATO come la Polonia o con Mosca? Per una Europa federale o contro questa?
Il camaleontismo cesserà di dare i suoi frutti. Il rischio di un’Ungheria sempre più aliena all’Occidente rischia di trasformarla in una vecchia autocrazia infiltrata dal Cremlino alle porte dell’Europa.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
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