MEGLIO MORIRE DA ARTISTA (di Matteo Fais)
Il medico più saggio è quello che, di fronte all’ipocondriaco, sempre ossessionato dalla preoccupazione di strappare un ennesimo inutile giorno alla sorte, lo percula chiedendogli: “Mi tolga la curiosità, ma perché ci tiene tanto a morire da sano?”. In effetti, vivere troppo è una condanna. Tanto, come fa dire Houellebecq al personaggio di Bruno, in Le particelle elementari, dopo i quaranta, la vita diventa un bollettino medico. Adesso, forse l’autore francese è un tantinello esagerato, ma effettivamente novant’anni di inutilità, borghese tranquillità, dieta misurata e “massimo un bicchiere di vino alla domenica”, sai che due coglioni!
Dunque, meglio la “Vita d’artista” che “come l’ho vista/ ho detto: questa è la mia”, come canta Paolo Conte in Per quel che vale. Anche perché “che decadenza/ la realtà/ che differenza/ un giorno fa”. Almeno, un giorno da stronzoni qualsiasi. Insomma, a Taylor Hawkins, il batterista dei Foo Fighters, gli è andata alla grande. Successo, eccessi, figa, eroina, un lungo viaggio dal capolavoro di Alanis Morissette, Jagged Little Pill, a quel pazzoide di Dave Grohl, l’ex batterista dei Nirvana. Meglio che crepare da pensionato comunale, provinciale o delle Poste, fanculo!
“Se non avessi questa vita morirei/ Ogni mattina questo sole non avrei/ […] Se non avessi questo sogno morirei/ In un terrore di vacanze creperei”, dice bene il Maestro in Questa sporca vita. E, davvero, meglio cinquant’anni a percuotere dionisicamente i tamburi della vita che a fare ordinatamente la fila alla cassa del centro commerciale e “prego, vadi lei”, “no, vadi lei, signora”.
Nessuna tristezza, allora, per il caro Taylor Hawkins. Gli è venuto un infarto? Capita. Quantomeno, lui ha vissuto. L’ha fatto alla grande, a trecento allora. Peccato solo che sia morto prima di salire sul palco e non sul palco, come si conviene a un musicista. Sarebbe stato bello guardarlo rovinare sulla batteria come se avesse voluto distruggerla, come faceva il leader dei Foo Fighters, quando suonava nei Nirvana e ogni concerto si concludeva con quest’atto catartico di violenza – una sorta di “distruggi e violenta ciò che ami”.
Resta la sua lezione, quella per cui è stato definito lo Stewart Copeland della sua generazione e per cui tanti grandi hanno voluto dividere con lui il palco. L’uomo ha saputo farsi notare, cosa non scontata per un batterista, uno dei ruoli più difficili all’interno di una band. Perché il punto è che non basta andare a tempo. Bisogna crearne uno unico.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.