ONTOLOGIA DEI FERRAGNEZ, OVVERO FEDEZ NON PUÒ MORIRE PERCHÉ NON ESISTE (di Matteo Fais)
Io non mi preoccuperei tanto per Fedez. A lui, la morte potrebbe solo giovargli. Intervistato da “Vanity Fair”, aveva dichiarato le sue angosce che, oltre il volare – come non capirlo -, contemplano la possibilità di “sparire all’improvviso” e il “timore d’impazzire per qualsiasi motivo e, da ipocondriaco, di qualsiasi malattia […] Su tutte: paura di morire”. Beh, la banalità di tali dichiarazioni ricorda molto da vicino quella scena di Anything Else in cui il personaggio incarnato da Woody Allen dice all’altro protagonista qualcosa come “E, dunque, tu hai paura di morire? Beh, sai, è una paura che hanno un po’ tutti, anche il mio cane”.
Insomma, non mi sembra che quanto da lui confessato lo renda più umano. Infatti, egli non lo è mai stato, se non forse – ma non c’è da giurarci – nella sua vita prima dei riflettori – riflettori da sempre sognati in realtà, aspirando quindi alla non esistenza. Ma Fedez – che non per niente è uno pseudonimo il quale nasconde un nome, cioè un’identità – non è mai esistito, se non nella virtualità di uno streaming su Spotify o di una diretta su Instagram. Persino la sua famiglia non conta se sia reale, se quei figli siano poi frutto del suo seme e se con la Ferragni si conoscano biblicamente, come si converrebbe a una coppia di giovani sposi, perché la loro è un’unione fondata su milioni di like, cementata dallo share social. Se venisse fuori che sono due ologrammi, l’inganno del genio maligno tanto temuto da Cartesio, la visione indotta nei cervelli galleggianti nella vasca di Hilary Putnam e Daniel Dennett, a chi importerebbe mai?
La realtà è superata dalla fantasia e, sovente, quest’ultima è molto meglio della prima, persino quando fa soffrire. Chi se ne frega se il personaggio di Taxi Driver è reale o meno, se si ispira a qualcosa o qualcuno? Si può osservare quella vita irreale sullo schermo, per un’ora e mezza, con molta più attenzione di quanta non si dedichi al mondo, o a un disperato qualunque, come Travis, che ci passi a fianco.
E, dunque, Fedez esiste come essere umano o è come la guerra vista in televisione, in 4k, col dolby surround? Fedez, seduto qui vicino, sarebbe Fedez? Il che è un po’ come chiedersi se il conflitto sia più vissuto sotto le bombe a Kiev o vedendo queste che esplodono riducendo un palazzo in una nuvola di fumo denso sullo schermo piatto. Cosa è più drammatico?
L’ebreo che osservo morire sul cinema, vittima della banalità del male del nazista che, in preda alla noia, si alza dalla sedia, sceglie un soggetto a caso e spara, non mi consente forse, con molta maggiore profondità, di empatizzare, di scorgere in lui la povera vittima? Se fossi stato al suo fianco, al campo di sterminio, non mi sarei magari limitato a pensare “meglio a lui che a me”?
Per farla breve, Fedez non esiste se non appunto come Fedez, come sogno del tamarro 5.0 che ce la fa, come sequenza binaria che si proietta nel World Wide Web e commenta ogni cosa dalle unioni omosessuali a Sanremo. Un giorno, potrebbe diventare come Elvis Presley o Jim Morrison, ed essere avvistato vivo, pur essendo morto, in un modo che a questi ultimi, per deficit tecnico del periodo, non è stato concesso.
Se dovesse morire, potrebbe farlo in diretta, o lasciando alla Ferragni una serie di storie da pubblicare dopo il trapasso e da riproporre con regolarità. Potrebbe, insomma, morire come ha vissuto, al confine tra l’essere (famoso) e il nulla (di chi esiste nell’anonimato e quindi, probabilmente, non esiste). Perché Fedez è un po’ tutti noi, oramai: più personaggio che uomo, più instagrammatore di ciò che è e mangia che dasein e mangiatore.
Fedez mette in crisi l’ontologia, moltiplica i 15 minuti di gloria di ognuno, quelli di warholiana memoria, per 50 mila. Come l’Unico di Stirner, egli ha fondato sé stesso sul nulla, ma riuscendo a dare fondamento e nuovo statuto ontologico a questo. Sì, è certo, Fedez non può morire. Se lo farà, sarà tutto in favore di telecamera, per una nuova serie NETFLIX, per guadagnare un’eternità in 10 episodi.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Fedez no esiste se no come nulla cosmico cianciante rigoroso secondo dettami di… meravigliosamente corretto!…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/
Questa necessità quasi pornografica di mettere in piazza i ca**i propri, il tutto condito da lacrime e sugulti, sinceramente, a me personalmente inizia a stufare. Perché lo trovo un atteggiamento immaturo, poco spontaneo, una mossa spiccia di marketing.