LA FOLLIA DELLA SINISTRA ANTIMPERIALISTA (di Davide Cavaliere)
Da Noam Chomsky a Luciano Canfora, da Oliver Stone e John Pilger fino a Luciana Castellina, l’invasione russa dell’Ucraina rivela il marciume morale della sinistra «contro la guerra». Nella mente di Chomsky – e, per estensione, nelle menti di tutti quelli cresciuti a latte e movimenti «antimperialisti» – esiste un’unica potenza imperialista: gli Stati Uniti.
Se questa poteva essere una valutazione ragionevole, anche se non del tutto accurata, del periodo compreso tra il crollo dell’Unione Sovietica e il primo grande ritiro degli Stati Uniti dall’Iraq nel 2011, il recente emergere di un sistema internazionale multipolare, composto da tre grandi potenze e più di una dozzina di potenze medie e regionali – ha reso obsoleta la visione del mondo degli ex militanti contro la guerra in Vietnam.
Sono tante, al momento, le potenze neoimperiali: la Russia ha ambizioni espansionistiche in Europa, Africa e Asia Centrale, la Cina nell’Indo-Pacifico e nella stessa Russia (i territori russi a nord del fiume Amur), la Turchia in Grecia e nel Caucaso e l’Iran in Libano e Siria. Dovendo condensare la situazione in poche righe, si potrebbe dire che ci troviamo in uno «stato di natura hobbesiano internazionale», una situazione priva di un’autorità globale forte, nella quale tutti agiscono per accrescere la propria potenza.
Una contesto che non solo incoraggia la corsa agli armamenti, ma invita anche gli stati più insicuri e ambiziosi a fare cose orribili ai loro vicini, rivali o a fastidiose minoranze, basti pensare alla recente guerra del Nagorno-Karabakh o al genocidio della minoranza uigura dello Xinjiang.
Eppure, queste considerazioni non scalfiscono il granitico manicheismo della sinistra radicale. Se l’Ucraina è in fiamme, la colpa non può che essere di Washington, mica delle mire espansioniste della Russia in Europa. Quando la Cina aggredirà Taiwan, mettendo in atto una repressione brutale come quella attuata in Tibet, i guru della sinistra radicale metteranno sotto la lente d’ingrandimento le presunte «responsabilità» occidentali.
Sono i «Bolsheviks Muppet’s», i pupazzi ventriloqui del Cremlino, che oggi diffamano e disumanizzano gli ucraini definendoli «nazisti», proprio come ieri delegittimarono gli oppositori del regime di Assad definendoli «jihadisti», i civili uccisi sotto i bombardamenti aerei russi come «attori» e i primi soccorritori nel territorio controllato dai ribelli come «propagandisti di al-Qaeda».
Questa lettura semplicistica del mondo ha fatto breccia in ampi segmenti della sinistra. I discepoli progressisti dei vecchi marxisti si trovano ad affrontare un «dilemma intellettuale» per due motivi: primo, non hanno mai vissuto sotto la minaccia di un’altra grande potenza, essendo cresciuti in un sistema internazionale dominato dagli Stati Uniti; secondo, le loro visioni del mondo sono state plasmate dai presidenti George HW Bush, Bill Clinton e George W. Bush, quando gli Stati Uniti hanno fatto quello che volevano, incontrastati.
L’elemento culminante è stata la guerra in Iraq del 2003, che ha compattato le sinistre post-comuniste di tutto il mondo attorno alle parole d’ordine «pace» e «antimperialismo», inducendole a una tolleranza sorprendente verso dittatori, regimi espansionisti e terroristi purché antiamericani o anti-israeliani. A nulla sono valse alcune iniziative o dichiarazioni come quella che ha condotto alla firma del Manifesto di Euston nel 2006.
Gli atavici pregiudizi antioccidentali hanno reso i progressisti ciechi di fronte ai crimini commessi dai rivali del potere americano, il che spiega perché molti ignorano, quando non giustificano, la sofferenza causata dalla Russia in Siria e Ucraina; dall’Iran in Siria, Yemen, Iraq e Libano; e dalla Cina in Tibet, a Taiwan, a Hong Kong e nello Xinjiang.
Molti di loro vedono la guerra in Ucraina come il solito «pasticcio» generato dalla protervia americana, ignorando le responsabilità di Putin e la decisione degli ucraini di guardare a Occidente.
Inoltre, ignorano che tutti i sondaggi condotti nel 2014, 2017 e 2022 hanno mostrato che la stragrande maggioranza degli ucraini desiderava aderire all’UE e alla NATO. Ignorano che i paesi dell’Europa orientale, Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, abbiano chiesto di aderire alla NATO proprio per proteggersi da una possibile aggressione russa. Ignorano che la Russia ha preparato questa guerra per anni, così come ignorano la storia delle relazioni NATO-Russia.
La sinistra radicale va a braccetto con quelli che rimpiangono lo «spirito di Pratica di Mare», i bei tempi andati delle strette di mano tra Putin e Bush, illuminate dal sorriso compiaciuto di Berlusconi. Al tempo, però, Putin si trovava a gestire una Russia ridotta ai minimi termini dall’implosione del sistema sovietico, per ciò andava in giro scodinzolante pur di rientrare tra i grandi della politica mondiale.
L’Europa è stata bruscamente svegliata dal suo sonno venusiano dalle bombe russe sull’Ucraina. Ora sente la necessità dell’hard power per resistere alle ambizioni imperialiste di Vladimir Putin, avendo imparato a proprie spese che il «soft power» – ideali, cultura, persuasione, insomma, essere una «potenza gentile» – non basta per contrastare minacce e guerre tradizionali o ibride.
Per raggiungere e mantenere la pace, l’Europa dovrà impegnarsi a costruire un’alleanza militare ancora più forte e spendere di più per la difesa – come Donald Trump ha chiesto per quattro anni. Questo significa riporre le teorie sull’uniliateralismo americano in cantina, tra le altre carabattole intellettuali.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.