PERCHÉ LA SCHWA STA AL LINGUAGGIO COME LA BENEDIZIONE ALLA BIOPOLITICA (di Matteo Fais)
Ma, allora, in Italia, c’è ancora qualcuno che non è completamente rincoglionito?! Miracolo, dopo che il MIUR ha cominciato a usare la famosa “e rovesciata”,o schwa, nei suoi documenti, su change.org (https://www.change.org/p/lo-schwa-%C9%99-no-grazie-pro-lingua-nostra?fbclid=IwAR1lPNa3x9KOockSMzTl-8_jxKd5sCVfTSbk0YtPLJu5N5K4kaD_eQi-qaY), tutta una serie di intellettuali hanno sottoscritto una petizione per la sua rimozione.
Ottimo, fantastico, da farsi una sega! Andate a firmare. Ma, aspettate, fermi un attimo. Questa idiozia linguistica, bisogna capirlo bene, non è una stranezza, un’eccezione, una follia da intellettualE alla Michela Murgia. No, signori, la schwa è, contrariamente a quel che si crede per mancanza di acume, assolutamente consustanziale alla società del controllo.
La “e rovesciata”, per farla semplice, è sul piano linguistico ciò che il vaccino rappresenta sul piano sanitario. Come vogliono stabilire cosa fate col vostro corpo, così vogliono entrare nelle circonvoluzioni della vostra mente e decidere come dovete pensare e parlare.
Non sottovalutate la cosa, non limitatevi a dire “Tanto io non mi faccio condizionare da queste sciocchezze”. La schwa e il vaccino sono atti politici che vanno a influenzare la vita di tutti. Lo dice la Murgia stessa che la prima “Sta al sessismo del linguaggio come il vaccino sta al Covid: non cancella la presenza del virus, non è la cura definitiva, ma una modalità per attivare anticorpi”. Per smascherare l’intento latente, si potrebbe dire che come la benedizione è divenuta necessaria per poter avere una vita sociale, così sarà con il nuovo simbolo che verrà pian piano posto e imposto nei vari documenti ufficiali. Del resto, già da tempo, le università spediscono messaggi del tipo “Salve a tutt*”.
Non è una faccenda da prendere sottogamba, o da considerare marginale. Ogni segnale di devianza va combattuto fin da principio, prima di imporsi e divenire impossibile da contrastare. Anche l’obbligatorietà del vaccino da prima era limitata al personale sanitario, poi a quello della scuola e infine è andato a toccare tutti gli over 50. Non è passato – per quanto il processo sia stato piuttosto celere – dall’oggi al domani. Similmente, il green pass, era necessario in principio solo per consumare all’interno dei luoghi. Oggi, non si può neppure andare a pisciare al bar senza averlo.
Quel simbolo è il modo in cui, proprio come un virus, l’ideologia folle del gender fluid entrerà nei vostri pensieri. Pensateci: già solo mentre compilo questo pezzo, ho guardato un paio di volte come si scriva l’immonda parola. Alla fine, la ricorderò, farà parte di me e quello sarà il primo passo.
Spiace dirlo – ma neanche più di tanto –, i libri e gli articoli che la contengono andrebbero bruciati. Al loro subdolo stratagemma che, grazie a una democrazia su misura per i cretini, riesce a imporre anche la peggiore stortura, bisognerebbe rispondere con la violenza. Questi sanno benissimo che, se non sarà oggi e neppure domani, sul lungo termini riusciranno a imporre ciò che adesso sembra assurdo. È la via che seguono da sempre. Un passo alla volta si copre la distanza che ci separa dall’inferno.
Combattere il green pass non basterà. È la società del controllo che va fermata, prima che diventi come il cancro all’ultimo stadio, ovvero qualcosa di irreversibile che non si può più estirpare.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.