Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

ALTRO CHE SANREMO, BUON COMPLEANNO AXL ROSE (di Matteo Fais)

Meglio tracciare una linea netta e segnare un confine, visto che qui si stanno tutti rincoglionendo a livello musicale. Sembra che il vertice del rock siano i Maneskin, ma quei ragazzini, più che rappresentanti della musica del diavolo, paiono bambini dell’oratorio vestiti per il carnevale. La differenza tra loro e la musica è la stessa che intercorre tra una sega e una colossale chiavata.

Per fortuna, qualcuno ancora ricorda periodi ben migliori, in cui la musica era musica. Altro che Sanremo e I wanna be your slave, oggi è il compleanno di una vera star del palcoscenico, Axl Rose, cantante degli eterni Guns n’ Roses, una band non certo sbucata fuori dai talent show. Le candeline sono sessanta.

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La differenza, poco ma sicuro, si sente. Basta ascoltare l’intro di quel disco che segnerà per sempre il destino dell’hard rock, Appetite For Destruction, con la sovraumana Welcome to the Jungle. Ma che ne sa Damiano! Si racconta che la canzone sia stata ispirata a un giovanissimo Axl da un barbone negro che lo abbordò al suo arrivo a Los Angeles, da Lafayette, Indiana, dicendogli “You know were you’re? You’re in the jungle, baby, you gonna die” (Lo sai dove sei? Questa è una giungla e ci morirai). E già qui i Maneskin si sarebbero pisciati addosso, per poi tornare di corsa in provincia ad aprire il concerto dei Ricchi e Poveri, in occasione della festa del patrono. Poveri poser sfigati!

Al cantante dei Guns con quella sua voce così sensualmente perversa e fascinosamente conturbante dobbiamo la composizione dei massimi capolavori anni ’90. Appetite si ascolta tutto d’un fiato, fino a soffocare, e l’insano piacere monta dentro come la prima pista di coca, o la spada di ero che svergina le vene. È una botta al cervello e niente sarà più come prima.

Ogni nota sembra provenire dall’oscurità e dal pericolo di una città feroce che trascina tutti nel suo vortice senza ritorno di false speranze. A questo sogno americano, pochi sopravvivranno (“You can taste the bright lights but you won’t get them for free”, “Puoi goderti le lucine splendenti, ma non sarà a costo zero”).

Per fortuna, allora, si poteva parlare fuori dai denti, addirittura, gridare e dare calci in bocca, alla faccia del politicamente corretto (“I see you standin’ there/ You think you’re so cool/ Why don’t you just/ Fuck off/ […] Turn around bitch I got a use for you”, “Te ne stai lì/ ti credi una gran fica, vero/ ma perché non vai a fare in culo/ […] Girati, vacca, che so cosa fare con te”). Oggi, le accuse di sessismo, violenza contro le donne e stronzate varie si sprecherebbero. Axl verrebbe sottoposto a processo che neppure Galieo. Gli chiederebbero una pubblica abiura. Weinstein, vittima del me too, a paragone, è un signorino che domanda una seghetta al parco.

Per non parlare delle simpaticissime sparate contro immigrati e omosessuali, per cui attualmente il web si scatenerebbe più rabbioso di una gang di teppisti (Immigrants and faggots/ They make no sense to me/ They come to our country/ And think they’ll do as they please/ Like start some mini-Iran/ Or spread some fucking disease/ And they talk so many goddamn ways/ It’s all Greek to me”, “Immigrati e froci/ non li capisco/ Vengono nel nostro Paese/ E pensano di poter fare come preferiscono/ Come dare vita a un piccolo Iran/ O diffondere le loro cazzo di malattie/ E parlano e parlano in mille dannati modi/ Che per me sono arabo”). Se uno scrivesse una canzone come One in a Million, qui in Italia, come minimo il PD e i suoi sgherri organizzerebbero ottanta interrogazioni parlamentari e Carola Rackete andrebbe a speronargli lo yacht.

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Chi, oggi, rifiuta Sanremo dal profondo delle viscere, sa bene che la musica è altro e il rock non sono certo queste band di belle fighette in pigiama e calcini bianchi profumati di Coccolino, cioè la versione ancora più sfigata dei Poison e gente simile. Axl sconvolse tutto quel mondo glam di truccati dalle labbra piena di rossetto e le canzoni prive di sostanza, con una rabbia autentica e vera, trasponendo la vita della metropoli in note di crudezza. Oltre il mero spettacolo, dietro di lui c’era reale capacità di fare musica, c’erano la strada e la violenza, tutte cose viste da vicino con i suoi stessi occhi.

Certo, ciò che resta attualmente di lui è poco più che una patetica immagine, più simile a una vecchia signora inglese, fortemente in sovrappeso, dalla voce strozzata e fastidiosa. Ma questo è un altro discorso – un discorso di puro business. Meglio tenersi il ricordo, perché qualcosa di simile non tornerà più.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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