L’UNICA COSA ANNIENTATA È LA FANTASIA DI HOUELLEBECQ – MEGLIO CHE VADA IN PENSIONE (di Davide Cavaliere)
Il nuovo romanzo dello scrittore francese, Annientare (La Nave di Teseo), ha come protagonista Paul Raison, confidente del potente ministro dell’economia, Bruno Juge. Si tratta del solito «primo attore» dei romanzi di Houellebecq: un uomo di mezza età, benestante, che si autoproclama intellettualmente mediocre ma conosce Pascal in modo approfondito, solo, disincantato e dalla vita sessuale assente.
Paul è infelicemente sposato con Prudence, una donna austera, apparentemente asessuata, che sta sperimentando un curioso riavvicinamento al sacro attraverso il mondo della Wicca – una teoria simil new age, su cui l’autore ci ragguaglia con pagine dal tono pesantemente wikipediano.
L’esistenza monotona e urbana del canonico antieroe è interrotta dal colpo apoplettico del padre, Édouard, impenetrabile ex agente dei Servizi Segreti. Scopriamo così che Paul ha una sorella, Cécile, fervente cattolica, descritta in modo caricaturale come un santa francese; e un fratello, il triste Aurélien, un rimasticamento della figura di Bruno Clément delle particules, tuttavia privo dell’espressività di quest’ultimo. I tre fratelli sono pressoché degli estranei fra loro, ma riuniti attorno al padre malato, del quale si prendono cura amorevolmente insieme alla sua compagna di vita, la silenziosa Madeleine, ritrovano una complicità domestica e un nuovo slancio esistenziale.
Édouard riprende coscienza, sebbene sia impossibilitato a parlare, mentre Paul e Aurélien tentano di mettere mano al loro destino e ai propri matrimoni fallimentari. Le cose sembrano andare bene: il primo riacquista una certa intesa sessuale con la moglie, mentre il secondo intreccia una relazione con un’affettuosa infermiera africana. Il marito di Cécile, intanto, disoccupato da tempo, trova un impiego. Nel frattempo, un gruppo di terroristi continua a compiere attentati incomprensibili, diffondendo poi in rete misteriosi comunicati. La condizione dei fratelli, ovviamente, non può che precipitare, e lo fa in modo assolutamente scontato, oltremodo prevedibile.
Fin qui, Houellebecq ruota, con scarsa efficacia, attorno a una manciata di temi, sempre i medesimi dalla fine degli anni Novanta, senza riuscire a dire niente di originale. Il libro risale le china nella seconda parte, quando Paul scopre di essere malato di cancro. Inizia allora una dolorosa meditazione sulla mortalità e il disfacimento del corpo, mentre l’autore abbandona lo stile scialbo mantenuto fino a quel momento, per lasciarsi andare a brani più poetici e autenticamente toccanti.
Il protagonista, che non possiede la granitica fede della sorella, precipita in una condizione di angoscia appena sostenibile: «Poi ci sarebbe stato il nulla, un nulla radicale e definitivo. Non avrebbe visto più niente, sentito più niente, toccato più niente, provato più niente, mai. La sua coscienza sarebbe completamente scomparsa, e sarebbe stato come se non fosse mai esistito […] Il mondo sarebbe andato avanti, gli esseri umani si sarebbero accoppiati, avrebbero provato desideri, perseguito degli obiettivi, coltivato sogni; ma tutto questo sarebbe accaduto senza di lui». C’è, in questa riflessione, qualcosa di fanciullesco, una pura disperazione davanti a una prospettiva paralizzante nella sua inconcepibilità.
La morte gli appare assurda, necessiterebbe di una fede, almeno di una ermeneutica della fine, ma purtroppo «Il suo interesse per la filosofia, quindi, era iniziato a diciassette anni e tre mesi, per concludersi a diciotto tondi tondi». La conversione al cattolicesimo è impossibile perché «non c’era posto, nella tipologia cristiana, per individui con un’adesione alla vita scarsa e sempre incerta». Dio, come rammenta Cécile a suo fratello, «ti aiuterà se tu aiuti te stesso, ma se rifiuti il dono di Dio, lui non può fare niente per te».
Le ali dell’angelo della morte non adombrano, però, la ritrovata felicità coniugale. Prudence si rivela calda, confortevole, protettiva, buona; dopotutto «rientra nel ruolo tradizionale delle donne spronare gli uomini a prendersi cura di sé, specialmente della loro salute, e più in generale rinsaldare il loro legame con la vita, giacché l’amicizia degli uomini con la vita rimane sempre, anche nel migliore dei casi, piuttosto dubbia». Attraverso la malattia, Paul guadagna anche il senso della bellezza, il piacere di posare gli occhi su dolci panorami: «L’immensa foresta che si estendeva davanti a loro non era immobile, una brezza leggera faceva ondeggiare le foglie, e quel movimento leggerissimo era ancora più rasserenante di quanto lo sarebbe stata un’immobilità perfetta». Però, poi, torna il timore conturbante della morte.
Cosa salva l’uomo dall’obito? L’amore, naturalmente, che s’incarna nella coppia: «L’entità formata da una coppia, e più precisamente da una coppia eterosessuale, resta la principale pratica di manifestazione dell’amore». Madeleine ed Édouard, Paul e Prudence, Hervé e Cécile resistono al dolore, alla malattia, alla disabilità, all’eutanasia, alla solitudine. L’amore è più forte della morfina: «ci sono le persone che vengono amate fino all’ultimo giorno, quelle che hanno avuto un matrimonio felice […] In questo caso, trovo che la pompa di morfina sia superflua, è sufficiente l’amore», afferma un medico.
Quest’ultimo romanzo di Houellebecq merita di essere letto soprattutto per i contenuti, nonostante siano poco approfonditi e scaraventati nel testo con insolita noncuranza, meno per lo stile, eccessivamente filmico.
Senza ombra di dubbio, il libro risente dell’affaire Lambert, il quarantenne francese tetraplegico, il cui caso era diventato noto nel mondo, riaprendo la discussione sull’eutanasia. Lambert morì nove giorni dopo la sospensione delle procedure, ordinata da in tribunale, che lo tenevano in vita. In merito alla vicenda, lo scrittore francese era intervenuto su “Le Figaro”, scrivendo che «un paese – una società, una civiltà – che legalizza l’eutanasia» perde «ai suoi occhi il diritto al rispetto». A quel punto «non solo è legittimo ma diventa auspicabile distruggerla». Il protagonista del nuovo romanzo la pensa come il suo autore; se qualche terrorista intende «annientare» il mondo moderno, non sarà certo lui a dolersene. La violenza, così come la politica, sembrano però destinate al fallimento. Solo la coppia salva, al di là di essa nulla salus.
Siamo in presenza dell’ennesimo Houellebecq, in orbita stazionaria attorno al consueto nucleo di elementi che caratterizzano la sua opera. Annientare non aggiunge nulla alla produzione del suo creatore. Appare, piuttosto, come un riciclo di argomenti usurati dal consumo – persino l’onomastica è ripetitiva –, tenuti insieme a fatica. Se fosse il primo libro, un certo piattume sarebbe comprensibile, ma trattandosi di un autore di fama mondiale, con alle spalle altri otto romanzi, non è accettabile che metta nelle mani del lettore una minestra riscaldata. Houellebecq è a un punto morto. Se non troverà la forza di rinnovarsi, ci vedremo costretti a considerare conclusa la sua carriera.
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.
Succede quando si sostituisce febbre di scrivere… con febbre di… pubblicare…!!…https://ilgattomattoquotidiano.wordpress.com/