LA CINA DEL TOTALITARISMO DIGITALE È VICINA (di Davide Cavaliere)
Secondo una ricerca del centro studi Ihs Markit, nel 2016, in Cina erano attive 176 milioni di telecamere per la vigilanza. Nel 2018 erano 200 milioni. Al momento sono circa 500 milioni. Le videocamere sono indispensabili al sistema di «credito sociale» che Pechino ha lanciato nel 2015.
La «Piattaforma integrata per le operazioni congiunte» integra e coordina i dati forniti dalle telecamere di sorveglianza dotate di riconoscimento facciale, i numeri delle carte d’identità, i dati biometrici, i numeri di targa e le informazioni sulla proprietà del veicolo, sulla salute, sulla pianificazione familiare, nonché le informazioni bancarie e quelle relative ai casellari giudiziali. Ogni attività viene monitorata: dalla pratica religiosa ai viaggi all’estero. Il regime cinese fa anche un ampio utilizzo di «spyware», ossia di software per la raccolta d’informazioni riguardanti le ricerche online degli utenti.
Attraverso il controllo costante delle azioni reali e virtuali di persone fisiche, imprese e organizzazioni, il governo distribuisce premi, punizioni, divieti e ammende. Ma lasciamo per un momento l’oriente.
Nel giugno del 2013, Edward Snowden, un giovane analista impiegato presso la NSA (National Security Agency), organizza la più grande divulgazione di segreti mai avvenuta negli Stati Uniti, rivelando la massiccia attività d’intrusione e spionaggio dell’Amministrazione americana e di quella britannica.
Snowden è mosso dal rispetto della propria coscienza oltre che dall’amore per la libertà. Per sua stessa ammissione non vuole «vivere in un mondo in cui tutto ciò che faccio e dico è registrato».
La NSA intercetta ogni giorno 20 milioni di telefonate e 10 milioni di interazioni nel Web. Per sua stessa ammissione, l’agenzia governativa statunitense dispone di 97 miliardi di dati provenienti dei computer di tutto il mondo. La giustificazione di quest’attività di sorveglianza di massa è la necessità di combattere il terrorismo, ma questo scopo ristretto è decisamente superato.
Milioni di cittadini americani ed europei sono controllati, indipendentemente da ogni sospetto di terrorismo, in aperta violazione delle norme che tutelano la privacy. Pratiche di questo genere devono essere basate su una disposizione giudiziaria, ma all’indomani dell’Undici settembre, l’amministrazione Bush ha emanato una direttiva che «normalizzava» le attività di spionaggio illegali.
Snowden mette in luce un totalitarismo tecnologico che pone sotto sorveglianza tutta la popolazione in modo indiscriminato. Ma non solo, l’informatico americano rivela che tra Washington e Pechino non vi sono differenze significative. Entrambi gli stati tentano di porre sotto controllo i cittadini. Se negli Stati Uniti l’invadenza dello stato è meno ferrea non è a causa della buona volontà dei governanti, ma di un sistema sociale pluralista. Tra Stati Uniti e Cina è in atto uno scontro economico e geopolitico, ma non ideologico.
In Europa la situazione non è migliore. L’Unione europea infatti è supina alle decisioni americane e sedotta dal modello cinese. Secondo John Dalhuisen, direttore per l’Europa di Amnesty International, «All’indomani di una scia di orrendi attacchi, da Parigi a Berlino, i governi hanno frettolosamente adottato leggi sproporzionate e discriminatorie. Considerate singolarmente, queste misure anti-terrorismo sono già sufficientemente pericolose. Ma esaminate tutte insieme, compongono un quadro preoccupante in cui poteri incontrastati stanno compromettendo libertà che da lungo tempo erano date per garantite».
Misure che rendono possibile le intercettazioni di massa e l’accesso ai dati di milioni di persone, sono stati introdotti o ampliati in Austria, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito e Ungheria.
Nell’ultimo anno, numerose nazioni europee, Italia compresa, hanno adottato misure sanitarie che non solo hanno compresso le libertà individuali, ma anche reso più facile tracciare gli spostamenti e vigilare sulle abitudini dei cittadini.
Si configura, pertanto, la necessità di lottare contro il nuovo totalitarismo digitale, che rischia di diventare più pericoloso di quello poliziesco del secolo scorso. È necessario tenere a mente la frase del dissidente sovietico Aleksandr Solženicyn che recita: «La nostra libertà si basa sul fatto che altri ignorano la nostra esistenza».
Davide Cavaliere
L’AUTORE
DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.