“CRISTOLU” DI SALVATORE NIFFOI – UNA STORIA DI SANGUE, VENDETTA E SANTITÀ (di Matteo Fais)
Tra le poche cose buone che abbiamo attualmente in Sardegna ci sono il sole, il mare, il pane e la salsiccia fatti sotto banco – non quelli prodotti a Milano, ma spacciati per nostrani –, la roccia su cui anche lo sguardo si infrange spezzandosi, e Salvatore Niffoi.
Punto fermo dell’Isola, solenne e mastodontico come il Monte Ortobene, lo scrittore è il suo cantore e il suo creatore. La terra sarda è argilla con cui lui dà forma alla sua fantasia, a una toponomastica che rompe con i riferimenti per turisti. Dopo averlo letto, nessuno saprà con sicurezza se sia più vero il suo racconto o i paesi che, distrattamente, ha attraversato durante l’ultima vacanza.
È a Orotho, in una barbagia di sogno cupo e realismo magico divenuto cronaca, che ci spostiamo per il ritorno in libreria di Cristolu, originariamente uscito per i tipi di Il Maestrale, grazie a Giunti, in un’edizione preziosa e dalla carta fragrante come carasau o civraxu ancora caldo.
Il romanzo è una storia nella storia. Comincia con don Fruanza, parroco di un piccolo paesino, che ritrova in cimitero un manoscritto di “Barore Suvergiu, noto Cristolu. Nato a Orotho il giorno diciannove febbraio del 1850. Stato civile nubile e professione nessuna. Un po’ frate e un po’ bandito […] Altezza un metro e sessantacinque senza i cosinzos, capelli pochi, occhi verdi e sempre tristi da quando il destino mi ha dato un calcio nel basso ventre e il Signore non è riuscito a trattenere la mia collera. Segni particolari: una cicatrice da forcipe sulla tempia sinistra e una da coltello sul fianco destro”.
Il papiro di Cristolu è una sorta di parabola evangelica ambientata in una terra non santa, ma fatta di lotta e vendetta, di soprusi e riscatti. “Sono nato in una domo del vicinato di Sa ’e Cuitza, quattro mura di pietre piccole e spigolose tenute insieme da un fango rossiccio che insanguinava il cortile a ogni pioggia”: dove si andrà a parare è presto chiaro, ma il sentiero è complesso e pieno di sorprese come la trama che si snoda attraverso l’evocativa prosa dell’autore.
La vita e la morte, i destini e i giochi della sorte sono già tutti annunciati nella forza descrittiva che Niffoi sa imprimere ai luoghi e alle immagini (“Visto dal camposanto, il paese sembrava un nido di rondine incastrato nel costone di Mesucala. Quel giorno il fumo che usciva dai camini galleggiava indeciso sui tetti, nascondendo le stradine che si riversavano nel fiume e i muri a secco dei cortili”).
Cristolu è un romanzo, come tutti quelli dell’autore, in cui l’ironia si contende la scena col tragico, senza mai sapere chi l’abbia davvero vinta, e il dolore è ghiaia pesante sulla strada di montagna di chi cerca la salvezza, ma senza mai poter fare a meno del sorriso.
La galleria dei personaggi è un girotondo umano vario e mai banale. Santi, briganti e puttane, ognuno con la sua dannazione e una redenzione da sudare con fatica.
Anche le bagasse hanno una lezione da impartire, perché non si finisce mai di imparare come stare al mondo, come sopportare il “selvaggio dolore di essere uomini” per dirla con Pasolini. Come Tzia Certina, “una puttana girandolona e capricciosa” che “aveva quattro figli diversi come le stagioni, per carattere e lineamenti” e “di suo forse non era mai stata brutta, ma col coitare a ogni ora per un pezzo di pane d’orzo o una vescica di sugna, le avevano incrudito lo sguardo e rubato le illusioni. Aveva la faccia di una che vendeva tempo morto, di una che si era abbandonata controvoglia all’asfissia della quotidianità di Orotho”.
Anche lei, come i preti della storia, dispensa saggezza e ristoro dell’anima, aiuta come può, forse sbagliando, senza fingersi ciò che non è, mescolando, come fa la vita, lo spirito e il fango, il miracolo e il peccato (“Dio fa il suo mestiere e io il mio! […]C’è passata più gente qui che nel confessionale, cosa credi? Ricordati che da casa mia la gente esce contenta come dopo la comunione! Ma non te l’ha detto ancora nessuno che se la preghiera mette in pace lo spirito, l’amore mette in pace tutto il resto?”). Certina, se per vivere fa il mestiere, comunque “sa amare” e lo scrittore lo fa capire senza sviolinate femministe e atti di dolore da maschio etero pentito.
A livello, si potrebbe dire, teologico, la storia di questo frate un po’ santo e un po’ bandito, assassino con il senso della misericordia, è interessante perché sembra chiarire come, seppure e malgrado l’aldilà, l’uomo di fede debba iniziare da questo mondo – addirittura dal suo paese – la ricerca della Giustizia, senza procrastinare fissando il suo sguardo unicamente sul Paradiso. In fondo, se don Fruanza racconta ai fedeli la storia di Cristolu, è per aiutarli a comprendere come l’insidia del male non ci abbandoni mai, anzi sia sempre in mezzo a noi, oggi come in passato, richiamandoci al dovere del Bene e alla lotta per la sua affermazione. Anche la santità, dunque, potrebbe non essere solo una passeggiata per uomini pii, ma una storia di sangue e vendetta, di uomini e donne barbaricini, tra i monti della Sardegna.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.