Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA VIA PER LA RIVOLUZIONE (di Theodore John Kaczynski – trad. it e introduzione di Matteo Fais)

LA VIA PER LA RIVOLUZIONE

di Theodore John Kaczynski

traduzione italiana di Matteo Fais

INTRODUZIONE

I malesseri diffusi e la rivoluzione

di Matteo Fais

Chissà quante sono le persone che abitano una città, anche di medie dimensioni. Eppure, si può circolare per delle ore senza incontrare un volto conosciuto e senza mai scambiare una sola parola con un altro essere umano. In una piccola comunità, ciò non sarebbe possibile. Infatti, il malessere, qui per le strade, è palpabile, come il pulviscolo dei fumi di scarico nell’aria che respiriamo a pieni polmoni. Una massa umana incredibile e una solitudine lacerante.

Ma i malesseri sono tanti, diffusi in centinaia di piccole nicchie, monadi che non comunicano tra loro, se non forse in gruppi chiusi su Facebook o Telegram. Ci sono gli incel, i redpillati, i gruppi di estrema Destra ed estrema Sinistra, gli anarchici, gli hikikomori, i no-vax, i no green pass. Solo di recente, almeno questi ultimi due hanno cominciato a riunirsi in piazza spontaneamente, a far sentire la propria voce. Smaccatamente, ciò non è ancora bastevole per il conseguimento della rivoluzione contro quella che Theodore John Kaczynski, il matematico e filosofo terrorista passato alla storia col nome di Unabomber, definisce “una società profondamente turbata”.

Quasi tutte queste sacche di scontenti, malgrado si siano incontrate e conosciute prevalentemente a mezzo del web e dei social, hanno sviluppato una profonda avversione verso la struttura tecnologica della società che, se sembra garantire un dibattito diffuso e una ragguardevole attenzione sanitaria, ha come contraltare l’isolamento, la parola vana buttata nel vento dei trend indicati dagli hashtag, o l’imposizione di un vaccino dalla discutibile efficacia. 

È totalmente inutile avere un cellulare, un computer, o un tablet e poter potenzialmente dialogare con un uomo che sta dall’altra parte del mondo, se nessuno vuole realmente farlo o se questo qualcuno non si paleserà mai. Similmente, di tante scoperte scientifiche non si sa che farsene se allungano una vita che si rivela unicamente come l’agonia di un essere chiuso entro la prigione del proprio ego.

Tutti questi nuovi dannati della terra, esclusi dalle magnifiche sorti progressive e progressiste, dallo sconosciuto piacere di un mondo senza confini, potrebbero andare a costituire un serio pericolo per il Sistema. Sono arrabbiati e non hanno niente da perdere, ma sono divisi. Spesso si focalizzano su un problema, trascurando tutti gli altri che gli sono intimamente legati. In tal senso, sono loro stessi a neutralizzare la propria potenza antagonista.  

The Road to Revolution (La via per la rivoluzione), il testo che segue in traduzione, è un tentativo di risposta in tal senso. Concepito come un breve saggio, trova spazio in Tecnological Slavery, una raccolta di scritti di Kaczynski ancora inedita in Italia, fatta eccezione per La società industriale e il suo futuro. Io e Clara Carluccio abbiamo già trasposto in italiano Il trucco più riuscito del Sistema (https://ildetonatore.it//2021/10/17/il-trucco-piu-riuscito-del-sistema-di-theodore-john-kaczynski-trad-it-di-clara-carluccio-e-matteo-fais-introduzione-di-matteo-fais/).

L’invito è a leggere queste righe per capire concretamente come opporsi alla società che ci circonda, perché a nulla serviranno i vari gesti scomposti di singoli individui – si trattasse pure dell’assalto ai palazzi del Potere – senza una visione lucida e razionale di un da farsi comune.

Matteo Fais

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La rivoluzione non è un pranzo di gala

Mao Zedong

Una grande rivoluzione va preparandosi. Ciò vuol dire, concretamente, che le necessarie precondizioni per essa si sono già generate. Se questa avrà poi realmente corso dipende da fattori quali il coraggio, la determinazione, la perseveranza e l’efficacia dei rivoluzionari.

Le condizioni preliminari sono le seguenti: un consistente sviluppo di ideali antitetici a quelli delle classi dominanti, la cui realizzazione sia impossibile senza il collasso dell’attuale struttura sociale.

In tale contingenza, emerge un insolubile conflitto tra i nuovi valori e quelli necessari per la sussistenza della struttura presente. La tensione tra i due poli cresce e può essere risolta solo con la sconfitta di uno tra questi. Se il nuovo ha in sé abbastanza vigore, si dimostrerà quello vittorioso e lo stato di cose attuali sarà spazzato via.

Questo è, in fondo, anche ciò che è accaduto con le due più grandi rivoluzioni della modernità – quella Francese e la Russa. Un simile conflitto di visioni si sta ripresentando anche oggi. Se questo diverrà sufficientemente intenso, condurrà al più grande sovvertimento a cui il mondo abbia mai assistito.

La struttura fondamentale della società moderna, l’elemento chiave intorno a cui tutto ruota, è la tecnologia. Essa risulta il principale fattore nel determinare i modi di vita dell’uomo moderno e la forza decisiva che anima la storia del nostro tempo. Quantomeno, questa è la tesi predominante tra i maggiori studiosi e dubito che tra gli storici vi sia qualcuno disposto ad avventurarsi nel sostenere il contrario. A ogni modo, non vi è certo la necessità di riferirsi a tali stimabili opinioni per rendersi conto dell’importanza della tecnica per la modernità. Basta guardarsi intorno e la cosa risulterà palese. A fronte delle differenze che formalmente caratterizzano le antropologie dei vari paesi industrializzati, questi tendono sempre più verso una cultura globale diffusa e un modo di vita comune, proprio in ragione della tecnica.

Poiché la tecnologia è la struttura fondamentale della società moderna – ciò da cui tutto il resto dipende –, il consistente sviluppo di valori antitetici con le necessità del sistema tecnologico andrà a porre le condizioni preliminari della rivoluzione. Tale sviluppo sta avvenendo esattamente adesso.

Cinquant’anni fa, quand’ero bambino, un sentito assenso, per non dire un sincero entusiasmo, nei confronti della tecnologia, era universale. Nel 1962, io mi sentivo già ostile nei suoi confronti, ma non mi sarei mai arrischiato a esternare una simile opinione pubblicamente, poiché in quegli anni si sarebbe pensato che solo un folle, o un religioso invasato proveniente da qualche remota zona del Mississippi, avrebbero potuto fare propria una posizione antitecnologica. Adesso, so che anche allora c’era chi, tra i filosofi e i pensatori, scriveva con toni critici sull’argomento. Ma si trattava di sparuti personaggi, a cui tendenzialmente nessuno prestava attenzione, tant’è che prima dei miei trent’anni non ho mai conosciuto nessuno che condividesse la mia visione negativa del progresso.

Ma, da quegli anni, il cambio di atteggiamento è stato radicale. Naturalmente, la maggior parte delle persone, nella nostra società, non è per niente tecnofobica, perché poco propensa a interrogarsi sulla questione. Se la pubblicità li induce a comprare ogni nuova diavoleria tecnologica, loro semplicemente eseguono, per poi trastullarsi con essa, ma senza mai chiedersi se ciò sia giusto. Infatti, il cambio di prospettiva si è verificato solo presso una ristretta fetta di popolazione, quella più socialmente critica nei confronti del mondo intorno a sé.

Per quel che mi è dato di sapere, al momento, gli unici a conservare tanto entusiasmo per la tecnologia sono coloro che da essa, in qualche modo, vi traggono dei profitti, come gli scienziati, gli ingegneri, i dirigenti d’azienda e i militari. Una più vasta parte della massa è ormai scettica rispetto alla società moderna e ha smarrito qualsiasi forma di fede nelle sue istituzioni. In questi è venuto meno il rispetto per un sistema politico nel quale anche i più spregevoli candidati possono essere veicolati presso gli elettori a mezzo di sofisticate tecniche di propaganda. Resta solo lo sdegno per un’industria dell’intrattenimento che ci nutre di spazzatura. Inoltre, costoro sanno benissimo che gli infanti, a scuola, vengono riempiti di medicine (come il Ritalin, e altri) perché stiano buoni in classe, che varie specie di animali si stanno estinguendo a una velocità spaventosa, che la catastrofe ambientale è ormai una possibilità concreta e che la tecnologia ci sta spingendo, con una celerità incosciente e mai vista prima, verso conseguenze che potrebbero risultare terribilmente disastrose. Ma poiché non nutrono alcuna speranza nella possibilità di arrestare la furia devastante della tecnica, in loro si è fatta largo l’apatia. Semplicemente, accettano il progresso e le sue conseguenze come un male inevitabile, sforzandosi pertanto di non pensare al futuro.

Ma, al contempo, un crescente numero di persone, prevalentemente i giovani, comincia a guardare oggettivamente a ciò che lo spaventoso moloch tecnologico sta causando al mondo. Costoro sono anche pronti a rigettare i valori della società tecno-industriale per rimpiazzarli con altri, totalmente antitetici. La loro disposizione è a rifiutare sicurezza e conforto, i giocattoli della Disney e tutte le facili soluzioni che la società tecnologica propone per qualsiasi problematica. Non sentono neppure la necessità di acquisire quel particolare status che deriva dal possedere di più e di meglio del proprio vicino. In luogo di questi ideali spiritualmente vuoti, preferirebbero abbracciare uno stile di vita basato sulla moderazione, alieno all’osceno livello di consumismo tipico della società tecno-industriale; si sentono finalmente capaci di fare una scelta per il coraggio e l’indipendenza, in antitesi alla codarda sottomissione tipica dell’uomo moderno; e, più di tutto, desiderano mettersi alle spalle l’ideale tecnologico del controllo totale sulla natura, per sostituirlo con la contemplazione estatica della vita libera e selvaggia del Pianeta, così come si è sviluppata in milioni di anni di evoluzione

Ma come possiamo usare questo cambio di prospettiva per gettare le basi di una rivoluzione?

Una delle nostre sfide sta nel promuovere la crescita di valori alternativi e diffondere una visione rivoluzionaria che incoraggi un’opposizione attiva al sistema. Ma la circolazione delle idee, di per sé, è ben poca cosa. Provate a pensare a come reagirebbe una persona che entri in contatto con ideali rivoluzionari. Assumiamo pure che lei o lui siano persone coscienziose, schifate dal sentire e leggere degli orrori che la tecnologia ha in serbo per il mondo, ma positivamente stimolate e speranzose nell’apprendere che un altro modo di vivere, migliore, più ricco e soddisfacente, è possibile. Quindi, quale sarebbe il prossimo passo da compiere con costoro?

Forse nessuno. Al fine di mantenere vivo l’interesse verso un ideale rivoluzionario, le persone devono nutrire la speranza che questo sia concretamente realizzabile e che loro abbiano un’effettiva possibilità di portare il proprio contributo in tal senso. Se a coloro che hanno avuto modo di entrare in contatto con certe idee non è presentata alcuna proposta pratica di azione contro il sistema, se niente di significativo mantiene viva in loro la speranza, la partecipazione andrà scemando. A quel punto, continuare a sentire parlare di rivoluzione ripetutamente sortirà sempre meno effetto, fino a condurli all’apatia più completa e spingerli ad abbandonare il pensiero della lotta.

Per mantenere viva la loro attenzione, i rivoluzionari dovranno mostrare che qualcosa sta realmente accadendo – qualcosa di significativo – e dare a questi l’opportunità concreta di essere parte dell’azione sovvertitrice. Proprio per ciò, è necessario creare un movimento che si mobiliti, che sia capace di dare corso alle proprie idee, a cui le persone che condividono un certo ideale possano unirsi attivamente per preparare la strada alla rivoluzione. Se la crescita del movimento non sarà parallelo al diffondersi di certe idee, queste si riveleranno sostanzialmente inutili.

Pertanto, il primo impegno dei rivoluzionari deve consistere nel creare una struttura basata sull’azione.

Si tenga presente che l’efficacia di un movimento antagonista non è data dal numero di persone che ad esso prendono parte. Molto più della forza numerica, conta la coesione, la determinazione, la dedizione a un fine ben chiaro, il coraggio e l’ostinata persistenza. Se in possesso di tali qualità, persino un numero ridottissimo di persone può avere ragione della vacillante e disinteressata maggioranza. Prendete ad esempio i Bolscevichi, che erano partito di minoranza, eppure hanno determinato le sorti della rivoluzione russa. (Ci tengo a precisare che NON sono un ammiratore di questi. Per loro, gli esseri umani erano unicamente ingranaggi del sistema tecnologico. Cionondimeno, possiamo trarre una lezione dalla loro storia).

Un vero movimento rivoluzionario non si curerà mai più di tanto della pubblica opinione. Ovviamente, non è il caso che la offenda senza motivo. Ma esso non dovrà neppure venire meno alla sua integrità, accettando compromessi, per non fare i conti con l’ostilità diffusa. Fare riferimento all’opinione dominante può portare vantaggi nell’immediato, ma sul lungo termine il movimento avrà maggiori probabilità di successo solo se sarà fedele ai suoi principi, malgrado gli alti e bassi, senza pensare a quanto essi possano divenire impopolari, e se il suo reale intento sarà di fare opposizione contro il sistema sulle questioni fondamentali, anche quando tutte le possibilità sembreranno essere a suo sfavore. Un movimento che ritratti o si comprometta, quando la situazione si fa difficile, perderà la sua coesione o si tramuterà in una forza di annacquato riformismo. Mantenere saldi la coesione e l’integrità, e dar prova di coraggio, è molto più importante che ricevere la ferma approvazione popolare. Il pubblico è troppo volubile e il suo consenso può mutare in ostilità dalla sera alla mattina.

Una forza rivoluzionaria ha bisogno di tanta pazienza e persistenza. Potrebbe anche essere il caso che si abbia da attendere diversi decenni prima che si presenti l’occasione propizia alla rivolta, ma durante tutto questo arco di tempo non resta che tracciare la via. Ciò è anche quel che ha fatto il movimento rivoluzionario in Russia. Pazienza e persistenza spesso pagano sul lungo termine, a fronte di tutte le aspettative negative. La storia fornisce tanti esempi di istanze che, in ultimo, sono riuscite a imporsi grazie alla cocciuta resistenza di chi le ha appoggiate, al loro rifiuto di accettare una sconfitta.

D’altra parte, l’occasione per la rivoluzione potrebbe giungere inaspettatamente e un movimento rivoluzionario deve dunque essere sempre pronto, per trarre vantaggio dalla contingenza favorevole qualora questa dovesse presentarsi. È stato detto che i Bolscevichi non si sarebbero mai aspettati di attendere alla rivoluzione nel corso della loro esistenza ma, poiché erano un’organizzazione così ben strutturata da poter passare all’azione in qualsiasi momento, si trovarono nella condizione di cogliere la palla al balzo al momento dell’imprevista caduta del regime zarista, col caos che ne seguì.

Più di tutto, comunque, ci vuole coraggio. La rivoluzione, nel mondo moderno, non sarà certo un pranzo di gala. Sarà anzi violenta e brutale. Si può stare certi che quando il sistema tecno-industriale comincerà a dare segni di cedimento, il risultato non sarà l’immediata conversione dell’umanità intera in un gruppo di figli dei fiori. Al contrario, si vedranno vari fronti farsi la guerra e competere per il potere. Se coloro che si oppongono daranno prova di essere i più tenaci, riusciranno ad assicurare la soluzione finale del sistema tecnologico. Se invece saranno gli altri a trionfare, è probabile che cerchino di salvarlo e di farlo ripartire. In tal senso, un vero movimento rivoluzionario deve consistere di persone pronte a pagare il prezzo che una rivoluzione che voglia dirsi tale comporterà: il disastro, la sofferenza e la morte.

Invero, un qualcosa come un movimento rivoluzionario esiste già, ma la sua forza è insignificante.

Esso è tale perché, in primo luogo, non è focalizzato su un obiettivo strategico chiaro e definito. Vive invece di un miscuglio di vari ideali quali porre fine alla “dominazione”, salvaguardare l’ambiente e chiedere “giustizia” (qualunque cosa voglia dire) per donne, gay e animali.

Molti dei suoi intenti si potrebbe dire che non siano neanche propriamente rivoluzionari. Come precisato al principio di questo saggio, la precondizione per la rivoluzione sta nello sviluppo di valori la cui realizzazione implichi la conseguente distruzione dell’attuale struttura societaria. Ma, per chiarirci, il femminismo, con la sua idea di far guadagnare alle donne uno status pari a quello degli uomini e porre fine agli abusi domestici e allo stupro, è perfettamente compatibile con il sistema vigente. Infatti, la realizzazione di queste istanze porterebbe unicamente il sistema tecnico industriale a funzionare in modo ancora più efficiente. Similmente dicasi per gli altri temi tanto cari agli “attivisti”. Da ciò se ne deduce che le loro istanze concernono il riformismo e non la rivoluzione.

Tra i tanti intenti da loro sbandierati, il solo a potersi dire realmente rivoluzionario – cioè la distruzione del sistema tecnico industriale – tende a perdere di significato nella confusione generale delle loro posizioni. Al fine di porre realmente in essere la rivoluzione, è necessario che un movimento antagonista abbia un’identità ben delineata e sia dedicato unicamente a far crollare il sistema tecnologico. Non ci si possono concedere variazioni di percorso di carattere riformistico, come la giustizia per questa o quell’altra minoranza.

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In secondo luogo, l’efficacia di tale movimento risulta ridotta in ragione del fatto che molti dei suoi aderenti si trovano all’interno di esso per ragioni sbagliate. Per alcuni, la rivoluzione è solo una vaga e fumosa speranza più che una ragione concreta e realizzabile. Per altri, si tratta di combattere certi aspetti specifici del malessere diffuso, che in loro suscitano particolare indignazione, più che aggredire in sé il problema della società industriale. Ci sono poi quelli per cui la rivoluzione è un gioco e la partecipazione un modo per dare sfogo ai propri impulsi ribelli. Infine, si trovano quelli per cui la cosa più importante è il loro ego. Cercano di darsi un tono, scrivono “analisi” e “critiche” che servono loro più per soddisfare la vanità personale che per portare concretamente avanti la causa.

Al fine di creare un effettivo movimento rivoluzionario, insomma, è necessario riunire insieme persone per cui la rivoluzione non sia semplicemente un’astrattezza, una vaga fantasia, una mera speranza per un imprecisato futuro, o uno sfogo per le proprie velleità da ribelli, ma un intento reale, ben preciso e per la cui realizzazione spendersi concretamente.

Theodore John Kaczynski

SUGLI AUTORI:

Theodore John Kaczynski: https://it.wikipedia.org/wiki/Theodore_Kaczynski

Matteo Fais:

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.


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