I NO PASS POSSONO VINCERE UNA BATTAGLIA, NON FARE LA RIVOLUZIONE (di Matteo Fais)
Vendere l’illusioni è il compito più facile. Costa poco e rende molto. Anche nei corsi di comunicazione, quello che insegnano è sempre l’essere propositivi. Insomma, a prendere per il culo.
Se si va di fronte a una platea dicendo “Signori, voi siete degli ignoranti e dovreste mettervi a studiare”, quasi nessuno reagirà come dovrebbe essere, ovvero aprendo un libro e dando inizio al suo processo di formazione. La gente ama essere raggirata.
Di fronte alle piazze no green pass, molti sognano, per esempio, la rivoluzione, il sovvertimento, l’attacco finale al Sistema. Mettetevi l’anima in pace, ciò non avverrà. I manifestanti sono tra loro una accozzaglia troppo eterogenea, priva di qualsivoglia coesione ideologica. Ci sono anarchici che sfilano accanto a ex missini. Tirare le somme sarà impossibile.
Davvero, la distanza è troppa, lo iato inaggirabile. Tra posizioni new age di chi crede di incrementare la forza della protesta tenendosi per mano e girando in cerchio, e un gruppo di tatuate, dalla scarsa igiene personale, che cantano Bella ciao, la confusione sotto il cielo è tanta. Anche gli slogan che vengono gridati dalla folla, dal destrorso “La gente come noi non molla mai” al “Pagherete caro, pagherete tutto” mutuato dalle manifestazioni anni ’70 dei gruppi extraparlamentari di Sinistra, riversano per le strade un minestrone postmoderno, di idee distantissime tra loro, difficilmente assimilabile anche dallo stomaco più forte.
Davvero, a questo punto della protesta, non ci sono gli estremi per passare alla lotta dura, senza paura – sempre per citare uno dei canti più amati dai manifestanti. Siamo minoranza, ma non siamo i bolscevichi. Siamo pochi, matti furiosi e terribilmente diversi quanto a storie politiche personali. Possiamo giusto limitarci, magari anche vincendo, a chiedere la rimozione del green pass dai luoghi di lavoro e svago.
Spiace dirlo, ma oltre non si può andare. Non c’è un movimento vero, un partito, un sindacato. Mancano anche gli intellettuali a dare sostanza di pensiero alla protesta. Ogni piazza ha il suo Masaniello che, proprio come nella canzone di Pino Daniele, Je so’ pazzo, nella vita vuole vivere almeno un giorno da leone. Per carità, sacrosanta la volontà di non sottostare, di non accettare la folle imposizione governativa, ma spesso tutto il suo pensiero, al netto del riuscire al far cantare e urlare la folla, si sostanzia in un, sempre per citare il noto brano, “nun nce scassate ‘o cazzo!” (non ci rompete il cazzo).
Detto ciò, la lotta continua e il popolo non si ferma. Le sottigliezze filosofiche se le giocano tra le mani come biglie quelli più riflessivi e attenti, i lettori di Gramsci ed Evola, coloro che controllano sempre le note a piè di pagina per non fare brutta figura all’esame. Al momento, sarebbe già una gran cosa conseguire questo risultato minimo. Ma la rivoluzione meglio continuare a sognarla perché, anche se non ci si guadagna grandi simpatie a dirlo, pure per cambiare tutto, bisogna avere un’idea di cosa si vuole ottenere.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.
Purtroppo è così, la verità non è mai ben vista