L’INTERVISTA – “AVEVO LA FEBBRE ALTA E SONO STATO ABBANDONATO DAI MEDICI” – L’ESPERIENZA DI MARTINO (di Matteo Fais)
L’abbiamo saputo tutti – tutti quelli che hanno orecchie per ciò che sta avvenendo intorno a noi – della ragazza che, per venti giorni circa, pur essendo affetta da covid-19, è stata abbandonata a sé stessa (https://www.ilmessaggero.it/salute/storie/katia_lamberti_morta_covid_30_anni_ultimi_messaggi_dottoressa_cosa_ha_scritto_news-6151479.html) . Alla fine, come era inevitabile, data la situazione, è morta e il padre ha presentato un esposto. Oramai, si pensa solo a somministrare a quante più persone possibile il siero magico – dato anche che un certo numero di dosi è stato comprato e non si vuole certo buttarlo ammettendone l’inutilità.
Qualcosa di molto simile è capitata anche al mio amico Martino Cappai, artista della ceramica residente in Sinnai, provincia di Cagliari. Anche per lui solo disinteresse e negligenza. Per fortuna, il giovane uomo è stato così avveduto da contattare dei medici volontari che l’hanno salvato. Ma la sua disavventura è stata lunga e lui, nel viverla, si è trovato, suo malgrado, nella condizione di nuocere gravemente alla comunità intorno a sé e alla sua famiglia.
Come dice lo stesso : “Non è che si muoia di Covid, è che ti lasciano crepare”.
Come hai scoperto di avere il Covid?
Il 16 agosto, mi sono svegliato, a mezzanotte, con la febbre a 38,5. La prima cosa che ho fatto, non volendo chiamare il 118 o la guardia medica, è stato contattare la pagina Facebook “Terapia domiciliare C-19” (https://www.facebook.com/terapiadomiciliarecovid19/) .
Scusa, come facevi a sapere che si trattasse di covid e non di una qualunque febbre?
E di cosa volevi che si trattasse al 16 di agosto?
Io ho avuto la febbre tante volte ad agosto…
Io no. E, comunque, non mi sono sbagliato, perché, in due giorni, ho perso il senso del gusto.
Quindi, prima ancora di fare il tampone, hai contattato loro?
Sì, senza tampone. Li ho contattati immediatamente. E loro, altrettanto tempestivamente, mi hanno risposto. Si tratta di medici volontari che stanno fondamentalmente svolgendo un servizio che dovrebbe spettare alla sanità pubblica. Pensa che sono rimasti con me fino alle 3:30. Mi hanno spiegato come usare l’apparecchio per misurare l’ossigenazione, preoccupandosi per me, domandandomi dei sintomi, dicendomi di restare calmo, insomma esercitando anche un ruolo di supporto psicologico. Il giorno dopo, comunque, mi sono fatto fare l’impegnativa dal medico di famiglia, per fare il tampone, e mi sono recato in città, a Cagliari. Sottolineo che loro non vengono a farlo, ma sei tu a dover andare da loro, con la febbre a 39, in pieno delirio.
Andiamo bene, in macchina, con la febbre. Poi, che succede?
Arrivo a sto accidente di baracchino, in via Romagna. Lì, sotto il sole, c’era la gente in fila. Una ragazza era sola, con la febbre a Dio solo sa quanto, poggiata contro il muro. Roba da pazzi! Per me i problemi sono questi. Siamo due anni alle prese con sta cazzo di pandemia e, invece di potenziare l’assistenza, questi che fanno? Niente. Gli operatori dell’ATS (Azienda Tutela Salute), pensa tu, hanno solo una panda per tutta la provincia di Cagliari.
Cosa vuol dire che hanno solo una panda?
In teoria, loro non dovrebbero farti uscire di casa, ma venire da te per farti il tampone. Peccato che materialmente non possano, per carenza di mezzi.
Quanto sei rimasto in fila?
Quaranta minuti.
Quindi, mettendo anche a rischio la persona che ti aveva accompagnato?
Sono andato lì da solo.
Ti sei messo al volante da solo, rischiando di mettere sotto qualcuno, in preda al delirio della febbre?
Pensa cosa sarebbe potuto succedere. Non mi ci far pensare.
Mi fa ridere, si fa per dire, che per di più vi abbiano tenuti sotto il sole…
Una cosa scandalosa! In Sardegna, in pieno agosto, con la febbre che brucia. Una roba da terzo mondo.
Dopo quanto ti hanno comunicato il risultato del tampone?
Mai. Non si sono fatti sentire. Dopo un po’ li ho chiamati io e mi hanno detto che c’erano stati dei problemi e forse il tampone era andato perduto. A quel punto, mi hanno dato un altro numero a cui rivolgermi. Io ho provato a chiamare ma, secondo me, era falso, perché non squillava.
Scusa, non ho capito: ti hanno chiesto di chiamare quest’altro numero per rifare il tampone?
No, per avere informazioni su quello fatto, così dicono loro. Io so solo che nessuno ha risposto. Allora, ho provato a richiamare loro, ma niente, si sono negati, nessuno che abbia tirato su la cornetta.
E poi?
Niente. Sono stato mollato a casa, da solo. Il mio medico mi ha semplicemente ripetuto la formuletta del protocollo canonico: tachipirina e vigile attesa. L’ho mandata subito a fanculo e mi sono curato da solo.
Come?
Vitamine e anticoagulante, aspirina insomma.
Ma avevi chiesto consiglio ai medici delle cure domiciliari?
Sì, e loro mi avevano detto di provare quella soluzione, con la preghiera di avvisarli se non mi fossi ripreso di lì a pochi giorni.
Loro, almeno, rispondevano?
Assolutamente. Io gli scrivevo e loro erano sempre presenti. Sono bravi. Stanno anche spingendo per far approvare le cure domiciliari. Perché, sai qual è il vero problema? Non il virus, ma il fatto che il paziente viene abbandonato a sé stesso. Non per niente, se tu guardi sulla pagina, è pieno di persone che fanno richiesta del loro supporto, anche vaccinati con due dosi che poi si ritrovano con la febbre a 40.
Scusa, ma tu hai provato a chiamare l’ospedale?
No. Cosa vuoi che facciano?! Ti dicono di aspettare e vedere come evolve. Ed è la cosa più sbagliata, perché le persone vanno seguite da subito e l’ATS deve essere posto nella condizione di essere efficiente – non certo di perdere tamponi. Come mi diceva la mia dottoressa, vedrai cosa succederà quando arriverà il freddo, perché adesso è ancora una situazione contenuta. Non hanno i mezzi per stare dietro a tutti.
Quali sono stati i sintomi?
All’inizio febbre, spossatezza e mal di testa.
Quanti giorni sono passati, oramai, da quando ti sei scoperto malato?
Otto.
E, adesso, come ti senti?
Benissimo. Sto in piedi, mi faccio la doccia, lavoro nel mio studio. Guarda che non è stato niente di così drammatico, se non per un giorno particolarmente pesante. Veramente, a me fa ridere che si voglia smantellare tutto il nostro modo di vivere per una simile cazzata. Abbiamo affrontato ben altro in Occidente, nei vari secoli. Basterebbe pensare a curare la gente, invece che ossessionarci con l’inoculazione. Il problema è che non lo fanno. Pensa che è stato il mio stesso medico di famiglia a consigliarmi di andare da loro per il tampone, perché sapeva già che non sarebbero potuti venire nell’immediato. Il problema è la gestione da terzo mondo.
Ma, adesso, sei in quarantena?
Sì, sabato devo andare a fare il tampone.
Ti è imposto?
Sì, così è per prassi, per constatare se ti sei negativizzato.
Senti, ma tu vuoi vaccinarti?
Manco per il cazzo.
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.